Nuova stagione di Grazia

Nuova stagione di Grazia

In questo ultimo tempo ho sentito ripetere spesso dalle persone che incontravo: “mi dispiace tanto che Lei vada via”. “Speriamo che il Papa Le prolunghi un altro anno”. “Non lo dimenticheremo”. “Pregheremo per Lei”. “Verremo a trovarlo a Roma e così ci porta dal Papa”. E via discorrendo, con diverso tasso di sincerità e convinzione. Sabato 4 maggio, il papa, dopo avermi dato due anni di proroga alla guida della Diocesi, ha deciso di accettare le mie dimissioni da Arcivescovo di Oristano, per raggiunti limiti di età, come prescrive il Diritto Canonico.

Come mio successore il papa ha nominato mons. Roberto Carboni, finora vescovo della Diocesi suffraganea di Ales Terralba, al quale auguro di vero cuore ogni bene nel Signore, in comunione di sentimenti e di ideali. La mia preghiera per lui è quella della sua nuova famiglia: “Roberto archiepiscopo arborensi vitam et salutem!”

Siccome, ora, si paragona spesso il Vescovo a uno sposo e la Diocesi che gli viene affidata a una sposa, posso dire, di conseguenza, che io sono stato lo sposo della Chiesa di Dio che è in Oristano. Nel giugno del 2006 non mi sono sposato per procura, facendomi ordinare, per esempio, nella Cattedrale di San Giovanni in Laterano, mia Chiesa di adozione, o nella Cattedrale di Nuoro, mia Chiesa di incardinazione. Ho ricevuto l’ordinazione episcopale, e, quindi, ho preso la mia sposa nella Cattedrale di Oristano. Essendo rimasto sempre a Oristano e avendo avuto, perciò, una sola Diocesi o Arcidiocesi, per essere molto precisi, posso dire anche che il mio matrimonio è stato rigidamente monogamico, perché non ho avuto altre spose. Il mio titolo ufficiale diventa: “Arcivescovo emerito di Oristano”. Rimango, quindi, unito sacramentalmente alla mia sposa, la Chiesa di Dio che è in Oristano. Con questo titolo, però, non vado in pensione, ma rimango a servizio della Conferenza Episcopale Italiana come Presidente del Comitato della Cei per gli studi superiori di teologia e gli istituti superiori di scienze religiose. Seguirò, con l’aiuto del Servizio Nazionale della Cei, la vita accademica delle otto Facoltà Teologiche Italiane, tra cui la Facoltà Teologica della Sardegna, e dei 44 Istituti Superiori di Scienze Religiose, tra cui quello di Cagliari e quello di Sassari-Tempio. In buona sostanza, riprendo l’attività accademica nell’ambito degli studi universitari, dove ho lavorato per 36 anni.

Riprendo questi impegni passati, tuttavia, arricchito da nuova umanità ed esperienza pastorale. Infatti, il contatto con la gente, soprattutto con le persone malate e bisognose di aiuto, con tanti sacerdoti impegnati nella guida pastorale delle nostre comunità, con i rappresentanti delle istituzioni responsabili del bene comune, con i quali ho condiviso passione civile e promozione di solidarietà sociale, mi ha fatto guardare la realtà delle cose e degli eventi con occhi diversi. Il semplice cambiamento nel sentirmi chiamare “padre”al posto di “professore” ha sviluppato in me un nuovo senso di paternità spirituale, che non scompare con il trasferimento ad un’altra città e ad un altro lavoro.Di fronte ad un padre di famiglia che fatica ad arrivare alla fine del mese, ad un giovane che ha perso la speranza di trovare un lavoro, ad un malato di sla che vive assistito dall’amore paziente dei familiari 24 ore su 24, ainostri sacerdoti che non si sentono gratificati nella loro fatica di annuncio del Vangelo e di guida dei fedeli, non serviva il ricorso ad un manuale di teologia pastorale. Non si poteva neppure banalizzare la drammaticità delle situazioni con una esortazione stereotipa ad avere speranza e a“credere nella Provvidenza”. Bisognava ascoltare, tacere, pregare. Ho imparato a compatire prima di giudicare. Molto spesso, davanti al dolore per lutti improvvisi e precoci, allo sconforto e alla disperazione per disgrazie familiari, non ho saputo o potuto trattenere la commozione. Ora comincio una nuova stagione di vita. E sarà comunque una stagione di grazia e benedizione.

di ✞ Ignazio Sanna

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