Parrocchia di Desulo, 12 dicembre 2013
Per la terza volta nel giro di poco più di un mese ci ritroviamo come presbiterio per dare l’ultimo saluto a un nostro confratello. Stavolta accompagniamo nella preghiera il ritorno alla casa del Padre di don Giovanni Murgia, nato qui a Desulo il 3 agosto 1927 e ordinato sacerdote da mons. Sebastiano Fraghì il 29 giugno 1964. Esercitò il ministero nelle parrocchie di
Desulo, Isili, Nughedu S. Vittoria, Baratili S. Pietro e Ruinas. Don Giovanni è il quinto sacerdote che ci lascia nel 2013, dopo don Francesco Zanda, don Francesco Noli, don Giuseppe Siddu e don Francesco Porcu. Abbiamo iniziato l’anno 2013 in questa comunità parrocchiale con il funerale di don Francesco Zanda Junior il 3 gennaio e ci avviamo alla sua conclusione con il funerale di don Giovanni Murgia oggi. Due eventi di morte che ci invitano a guardare in alto, in cielo, dove è la nostra dimora eterna, per ricordarci che dobbiamo costruire la dimora del cielo con il lavoro sulla terra. Chi vive bene, infatti, muore anche bene. Il sacerdote vive del Signore, a servizio della missione del Signore, e muore nel Signore.
Ora, il sacerdote è soprattutto il ministro della Parola. Don Giovanni Murgia non ci ha potuto parlare molto da vivo, a causa della sua lunga malattia. Ci parla oggi attraverso la liturgia della Parola, che anima la celebrazione del mistero della morte e della risurrezione di Gesù. Direi che due sono i messaggi che ci vengono rivolti da questa mensa della Parola: nutrire speranza nella potenza del Signore; avere il coraggio di scelte profetiche come quelle di Giovanni Battista, precursore del Messia, il più grande dei profeti.
Il profeta Isaia esorta Israele a non temere, a guardare al futuro con speranza, anche se è una piccola nazione con poca potenza politica e economica. Il Signore trasformerà il deserto e la steppa in un giardino. Dimostrerà che il male sarà sconfitto e il bene si affermerà. L’invito ad avere fiducia e a non avere paura è lo stesso rivolto dall’angelo alle donne che piangevano per la morte di Gesù. Esse lo cercavano nel sepolcro. Ma Gesù non era nel sepolcro. Era risorto. La fede cristiana ci dice che anche don Giovanni Murgia non rimane nel sepolcro, ma passa dalla vita terrena alla vita eterna e partecipa della pienezza della comunione con Dio. Giovanni Paolo II ha ripetuto tantissime volte l’invito a non avere paura di affidarsi a Cristo, a spalancargli le porte del cuore, e papa Francesco non si stanca di esortare i cristiani a liberarsi dalle molte paure del male e del giudizio, e a non lasciarsi rubare la speranza.
Il messaggio della speranza lo dobbiamo sentire rivolto innanzitutto alla nostra comunità ecclesiale. Ci vengono a mancare in un anno 5 sacerdoti. Questi, per motivi di età e di malattia, non erano operativi nel campo dell’apostolato, ma in quello della preghiera. Erano allora, e lo sono oggi ancora di più, come le braccia alzate di Mosé che permettevano a Giosuè di vincere la battaglia. Non sappiamo e non sapremo mai quanti aiuti noi e le nostre comunità abbiamo ricevuto dalla preghiera e dall’offerta spirituale della sofferenza di questi nostri confratelli. Vivevano nel silenzio, ma pregavano molto, e, nell’economia della salvezza, la preghiera al Signore vale quanto un progetto pastorale, perché è il Signore che inizia ogni opera e la porta a compimento. Invano faticano gli uomini nel loro lavoro se il Signore non costruisce la città. Ora la loro preghiera diventa anche più operosa e per questo ci sentiamo uniti a loro e invochiamo la loro intercessione e il loro aiuto.
L’altro messaggio è l’invito ad avere il coraggio di fare scelte profetiche. Papa Francesco esorta i cristiani, e, quindi, tutti noi a discernere i segni dei tempi, a capire bene la situazione di crisi e di speranza nella quale viviamo. Che cosa è bene per la nostra vita diocesana, oggi come oggi? Possiamo ancora contare sulla potenza dell’organizzazione o abbiamo bisogno di dare maggiore importanza all’annuncio del Vangelo di Gesù? Gesù elogia il suo precursore Giovanni Battista che ha predicato la penitenza e la conversione. Ma Giovanni Battista è in modo particolare testimone di coraggio nel denunciare il male anche a costo della vita, e testimone di umiltà nel tirarsi in disparte dopo aver compiuto la sua missione. Il Battista non ha chiesto particolari ricompense, promozioni, visibilità, dopo aver portato a termine la sua missione. Lui doveva diminuire e il Signore doveva crescere. S. Agostino, parlando del ruolo del Battista nella storia della salvezza, ha detto che il Battista era la voce ma Gesù era la Parola. Questo significa che il Battista ha lasciato parlare il Salvatore e il Redentore e non ha oscurato il Messia. Il sacerdote è il messaggero del Vangelo, ma non è il Vangelo, è il testimone del Cristo ma non è il Cristo. Deve avere il coraggio di denunciare le ingiustizie e di presentare alternative concrete perché il bene trionfi sul male, la solidarietà sull’egoismo, il dare sia più gioioso dell’avere.
Cari fratelli e sorelle,
don Giovanni Murgia va a unirsi al presbiterio arborense del cielo. Gli rivolgiamo la preghiera perché aiuti il presbiterio arborense della terra e tutta la comunità ecclesiale della nostra Diocesi ad avere sempre il coraggio della fede e l’umiltà del servizio.