Cattedrale di Oristano, 3 febbraio 2014
Nelle circostanze della morte d’una persona cara i sentimenti che nutriamo sono diversi. Il primo e più immediato è certamente il sentimento del dolore, perché la persona che amiamo non dovrebbe morire mai e il distacco dalle persone care è sempre molto duro. La morte lascia sempre un vuoto non facilmente colmabile. Per dare voce alla tristezza e al
dolore per la perdita di una persona cara non serve molto ricorrere alle solite parole convenzionali della compassione e della commiserazione. Noi non usiamo queste parole, ma non possiamo nascondere che proviamo sincero dolore per la perdita di Mons. Orazio Ortu, degno ministro di Cristo del presbiterio arborense.
Ho incontrato don Orazio come seminarista a Cuglieri, nel Seminario Regionale. Egli era diacono alla vigilia dell’ordinazione sacerdotale, che avrebbe ricevuto il 3 luglio del 1960 da Mons. Sebastiano Fraghì a Belvì, insieme a Mons. Vincenzo Curreli; io ero al primo anno di liceo, proveniente dal Seminario Diocesano di Nuoro. L’ho rivisto qui a Oristano nel giugno del 2006, alla vigilia della mia ordinazione episcopale, arricchito dalla pluriennale esperienza pastorale ma già segnato dalla malattia. Mi piace ricordarlo come l’ho conosciuto la prima volta: intelligente, dinamico, sportivo, allegro. Le altre volte che l’ho incontrato nelle mie visite in occasione di Natale e Pasqua, nella residenza di Vallermosa, ci guardavamo negli occhi, ma non potevamo scambiarci alcuna parola. Quando alzavo la mano per benedirlo, si commuoveva, mi prendeva la mano e me la stringeva forte. Era il modo con cui potevamo comunicare in questi ultimi tempi.
La famiglia di adozione di Don Orazio è stata il nostro Seminario Arcivescovile, dove è vissuto dal 1960 al 1990, prima come assistente, poi come vice rettore e infine come rettore. Fu stretto collaboratore degli Arcivescovi Mons. Fraghì e Mons. Tiddia sia come Vicario Episcopale per il laicato cattolico, che come Presidente dell’Istituto di Sostentamento del Clero e Assistente Unitario dell’Azione Cattolica Diocesana. La sua figura amabile resta ancora oggi viva nella memoria di centinaia di seminaristi, che l’hanno conosciuto come animatore e rettore, così come nella memoria delle migliaia di alunni del Liceo Classico De Castro, che lo hanno avuto e stimato come il loro professore di religione. “Con la sua morte, e quella recente di Mons. Siddu, scrive il sito diocesano, si chiude un'epoca storica del Seminario Arcivescovile. Entrambi, infatti, erano le figure stabili in un contesto dove tutto il resto, anno dopo anno, naturalmente cambiava”.
La gratitudine per l’esistenza sacerdotale di don Orazio è la base del secondo sentimento che anima la celebrazione di questa Eucaristia. La comunità arborense, e il suo presbiterio in modo particolare, è grata al Signore, perché ha fatto sorgere al suo servizio un sacerdote fedele, che ha agito secondo il suo cuore e il suo desiderio (1Sam 2, 35). Per lui, come per tanti sacerdoti della nostra Diocesi, è stato più importante vivere come sacerdote delle cose che ha fatto come sacerdote.
Il terzo sentimento è legato al messaggio che ci proviene dalla liturgia della Parola che accompagna la nostra celebrazione di fede e speranza. Il libro di Samuele evoca la penitenza di Davide per il suo peccato: “Davide saliva l’erta degli Ulivi, saliva piangendo e camminava con il capo coperto e a piedi scalzi.” Papa Francesco, commentando il peccato di Davide, ha messo in evidenza che un peccato grave come l’adulterio non può venire sminuito a «problema da risolvere», come ha tentato di fare Davide in un primo momento. «Davide si trova davanti a un grosso peccato, ha detto il papa, ma non lo sente peccato, non gli viene in mente come prima cosa di chiedere perdono. Quello che gli viene subito in mente è: “Come risolvo questo problema?”.
Tutti siamo peccatori; tutti siamo tentati; la tentazione è il nostro pane quotidiano. Ma il problema non sono la tentazione e il peccato contro il nono comandamento - ha precisato il Papa - ma è come agisce Davide. Davide, infatti, inizialmente, non parla di peccato, bensì di un problema che deve risolvere. Questo modo di agire e reagire è un segno! Il segno tremendo che quando si perde il senso di Dio si perde anche il senso del peccato. La nostra preghiera quotidiana, allora, dovrebbe essere: “Venga il tuo Regno, o Signore”, perché la salvezza non verrà dalle nostre furbizie, dalle nostre astuzie, dalla nostra intelligenza nel fare gli affari. La salvezza verrà dalla grazia di Dio e dalla sua misericordia.
Il racconto del Vangelo evoca anche la situazione disgraziata d’un povero uomo solo. È, infatti, un uomo profondamente solo quello che si avvicina a Gesù. Non è violento verso gli altri, lo è solo verso se stesso. Si fa male con una durezza eccezionale: si ferisce con le pietre. Non è facile aiutarlo nel momento più buio della sua disperazione. Egli riconosce, però, che c’è qualcuno che lo può aiutare, anche se ha paura del suo giudizio e della sua potenza. Gesù, comunque, non lo rimprovera, non lo dichiara peccatore, meritevole di sofferenza fisica e disgrazia morale. Gesù lo libera semplicemente dal male che lo assilla, dal demonio che lo tiene in uno stato terribile. E, così facendo, ci richiama al dovere della misericordia e del perdono. Talvolta, infatti, noi siamo pronti a lanciare le pietre contro gli altri. Pietre invisibili di giudizi, sospetti, insinuazioni. Queste pietre delle calunnie e delle insinuazioni, della gelosia e dell’invida, fanno molto male, uccidono. Bisogna seguire l’esempio di Gesù, che usa misericordia, che libera dal male. Bisogna prestare ascolto al consiglio di Papa Francesco: facciamo obiezione di coscienza contro le chiacchiere e le insinuazioni.
Cari fratelli e sorelle,
don Orazio è ritornato in mezzo a noi per dirci quanto grande sia stato il Signore con la sua opera di sacerdote; a quante persone egli ha donato la grazia della riconciliazione; quante persone ha portato all’incontro con Dio; quanti giovani ha consigliato e accompagnato nel cammino del discernimento vocazionale. Onoriamo la sua memoria, rinnovando il nostro impegno a mantenere vivo in noi il senso di Dio, a essere operatori di comunione, a vivere da testimoni felici del Vangelo di Gesù.