Cattedrale di Oristano, 25 dicembre 2012
La liturgia della Parola di questa celebrazione ci presenta il mistero più grande della nostra fede, quello della seconda persona della Trinità che si fa uomo, con la formula lapidaria di San Giovanni: Il Verbo si è fatto carne. Il testo greco, tradotto alla lettera, dice: il Verbo carne si fece e evidenzia molto bene come i due estremi si tocchino: il Verbo e la carne, il Cielo e la terra, Dio e l’umanità.
Questa presenza di Dio nel mondo che evochiamo con la liturgia natalizia deve rimanere viva al di là di questa ricorrenza; non può essere ignorata o messa tra parentesi nella vita quotidiana. Gesù è nostro contemporaneo, non è un oggetto di studio, non è un personaggio della storia passata, non è un maestro di morale che viene citato per le sue massime di saggezza umana. È il Figlio di Dio, il Salvatore dell’umanità. Secondo Benedetto XVI, “la gioia dell’amore, la risposta al dramma della sofferenza e del dolore, la forza del perdono davanti all’offesa ricevuta e la vittoria della vita dinanzi al vuoto della morte, tutto trova compimento nel mistero della sua Incarnazione, del suo farsi uomo, del condividere con noi la debolezza umana per trasformarla con la potenza della sua Risurrezione. In lui, morto e risorto per la nostra salvezza, trovano piena luce gli esempi di fede che hanno segnato questi duemila anni della nostra storia di salvezza” (La porta della fede, 13).
Ognuno di noi deve vigilare perché non vada perduto questo patrimonio di fede, e non si viva come se Dio non esistesse. In molte scuole, purtroppo, non si è fatto il presepio, per rispetto della neutralità laica. Molte istituzioni politiche e culturali hanno eliminato gli auguri di Buon Natale e li hanno sostituiti con generici auguri di buone feste. Alcune amministrazioni comunali hanno fatto i calendari multietnici, per inserire la tradizione del Natale in mezzo a tante altre tradizioni religiose. Nel Nord Italia la percentuale dei matrimoni civili in nome dello Stato è ormai superiore a quella dei matrimoni religiosi in nome di Cristo. Di fronte a questa realtà di diffusa secolarizzazione, la celebrazione del Natale di Gesù ci propone la sfida di riuscire a vivere come se Dio esistesse, come se Dio fosse in mezzo a noi. Per questo fine, il compito principale di noi cristiani è quello di prestare la nostra bocca alla Parola di Dio, il nostro cuore al suo amore, la nostra intelligenza al suo Spirito.
Sul nostro settimanale ho scritto che si parla di Natale ricco e Natale povero; Natale scomodo e Natale devoto; Natale in fabbrica e Natale in carcere; Natale in famiglia e Natale all’estero; Natale sulla neve e Natale sulla spiaggia. Dunque, Natale è considerata una festa per tutti i luoghi e i tutti i tempi della vita. Anche il presepio è stato allestito nei luoghi più diversi e i canti natalizi sono eseguiti in tutte le melodie del mondo. Proviamo, ora, a pensare a Natale senza data, senza aggettivi, senza luoghi, senza stagioni, cioè pensiamo a Natale e basta. Natale vuol dire, allora, prima di tutto compleanno di Gesù, di Dio con noi, di Dio in mezzo a noi, di Dio per noi. In comunione con il nostro papa Benedetto XVI riconosciamo che “Dio ha parlato con noi. Dio non è una ipotesi lontana sull’origine del mondo; non è una intelligenza matematica molto lontana da noi. Dio si interessa a noi, ci ama, è entrato personalmente nella realtà della nostra storia, si è autocomunicato fino ad incarnarsi. Quindi, Dio è una realtà della nostra vita, è così grande che ha anche tempo per noi, si occupa di noi. In Gesù di Nazaret noi incontriamo il volto di Dio, che è sceso dal suo Cielo per immergersi nel mondo degli uomini, nel nostro mondo, ed insegnare l’«arte di vivere», la strada della felicità; per liberarci dal peccato e renderci figli di Dio (cfr. Ef 1, 5; Rm 8, 14)”.
Natale vuol dire, dunque, Dio con noi. Ma chi può dire che Dio è con lui? Il ricco? Il povero? Il sano? Il malato? Il giovane? Il vecchio? Colui che crede? Colui che non crede? Dio è certamente con tutti noi, con chi ama e con chi odia, con chi è giusto e con chi è peccatore. Ma non sempre noi siamo con Dio, e percepiamo ed accettiamo la sua compagnia. Magari, lo cerchiamo nei luoghi, nei tempi, nei modi sbagliati. Lo invochiamo perché supplisca le nostre debolezze e lo dimentichiamo quando ci dona le gioie e ci risparmia le sofferenze. Quasi sempre lo cerchiamo fuori di noi. Anche S. Agostino lo cercava fuori di lui, ossia nelle verità dei filosofi o nella gratificazione dei suoi amori. Alla fine si accorse che Dio era dentro di lui. Dio, infatti, è dentro di noi, e più intimo a noi di quanto non lo siamo noi a noi stessi. Non sempre abbiamo il coraggio, però, di cercare e accettare la compagnia di Dio, perché è esigente, e, quindi, scomoda e persino temuta.
Quando dimentichiamo che Natale è Dio con noi lo riduciamo alla fiera delle parole vane, dei sentimenti artificiali, degli auguri convenzionali, presi a prestito da qualche sito di Internet. Sarà ancora Natale, cioè Dio con noi, quando le luminarie delle città e dei negozi si spengono, si cessa di cantare i canti popolari, si svendono i panettoni, si ripongono i regali negli scaffali, si riaccompagnano i familiari malati negli ospizi? È Natale certamente quando la fede prevale sulle convenzioni sociali, quando l’interiorità prevale sull’esteriorità, quando la sincerità prevale sull’ipocrisia, quando il Dio dell’altare e della festa diventa il Dio della vita e del quotidiano.
La comunicazione della fede, ci ricorda ancora Benedetto XVI, deve sempre avere una tonalità di gioia. È la gioia pasqua della difficoltà, dell’incomprensione e della stessa morte, ma sa offrire i criteri per interpretare tutto nella prospettiva della speranza cristiana. La vita buona del Vangelo è proprio questo sguardo nuovo, questa capacità di vedere con gli occhi stessi di Dio ogni situazione. La fede non è un peso, ma una fonte di gioia profonda, è percepire l’azione di Dio, riconoscere la presenza del bene, che non fa rumore ed offre orientamenti preziosi per vivere bene la propria esistenza.
Cari fratelli e sorelle,
il Natale del 2012 è il Natale dell’anno della fede, ma è anche quello dell’anno della crisi. Tutte le famiglie sono toccate in un modo o nell’altro dalla mancanza di lavoro e da privazioni economiche. Siamo costretti a regolare i consumi, a rinunciare a legittimi desideri, a sperimentare nuove povertà. La sobrietà imposta da questa situazione e la solidarietà nei confronti delle persone più bisognose ci fanno vivere un Natale diverso. Ma forse un Natale più cristiano. Se ritroviamo le ragioni dell’essenziale; se apriamo il cuore al bisogno del povero; se cambiamo il mondo fuori di noi con il mondo dentro di noi, celebriamo il vero Natale di Gesù e diventiamo testimoni credibili della vita buona del vangelo.
Concludo questa riflessione con i versi del poeta Davide Turoldo: “Anima mia, canta e cammina! E anche tu, o fedele di chissà quale fede; oppure tu, uomo di nessuna fede: camminiamo insieme! E l’arida valle si metterà a fiorire: Qualcuno – Colui che cerchiamo – ci camminerà accanto!” Auguro di cuore che questo Qualcuno vi cammini accanto. Se saprete riconoscere il suo passo il vostro Natale sarà quotidiano!