Giornata della vita consacrata

Cattedrale di Oristano, 2 febbraio 2017

La celebrazione della giornata della vita consacrata è un tempo di grazia per riflettere sul significato e la bellezza della consacrazione della propria vita al servizio di Dio e del prossimo. È necessario, infatti, verificare, alla luce della Parola di Dio, la fedeltà alla propria missione e al proprio carisma.

In questo momento, dice papa Francesco, la fedeltà è messa alla prova da molti fattori che la condizionano. Il primo di questi fattori è il contesto sociale e culturale nel quale viviamo. “Viviamo immersi nella cosiddetta cultura del frammento, del provvisorio, che può condurre a vivere “à la carte” e ad essere schiavi delle mode. Questa cultura induce il bisogno di avere sempre delle “porte laterali” aperte su altre possibilità, alimenta il consumismo e dimentica la bellezza della vita semplice e austera, provocando molte volte un grande vuoto esistenziale. Si è diffuso anche un forte relativismo pratico, secondo il quale tutto viene giudicato in funzione di una autorealizzazione molte volte estranea ai valori del Vangelo. Viviamo in società dove le regole economiche sostituiscono quelle morali, dettano leggi e impongono i propri sistemi di riferimento a scapito dei valori della vita; una società dove la dittatura del denaro e del profitto propugna una visione dell’esistenza per cui chi non rende viene scartato”.

Un altro fattore “proviene dall’interno della stessa vita consacrata, dove accanto a tanta santità non mancano situazioni di contro-testimonianza che rendono difficile la fedeltà. Tali situazioni, tra le altre, sono: la routine, la stanchezza, il peso della gestione delle strutture, le divisioni interne, la ricerca di potere – gli arrampicatori –, una maniera mondana di governare gli istituti, un servizio dell’autorità che a volte diventa autoritarismo e altre volte un “lasciar fare”. Se la vita consacrata vuole mantenere la sua missione profetica e il suo fascino, continuando ad essere scuola di fedeltà per i vicini e per i lontani (cfr. Ef 2, 17), deve mantenere la freschezza e la novità della centralità di Gesù, l’attrattiva della spiritualità e la forza della missione, mostrare la bellezza della sequela di Cristo e irradiare speranza e gioia”.

Un aspetto che si dovrà curare in modo particolare, sempre secondo il papa, è la vita fraterna in comunità. “Essa va alimentata dalla preghiera comunitaria, dalla lettura orante della Parola, dalla partecipazione attiva ai sacramenti dell’Eucaristia e della Riconciliazione, dal dialogo fraterno e dalla comunicazione sincera tra i suoi membri, dalla correzione fraterna, dalla misericordia verso il fratello o la sorella che pecca, dalla condivisione delle responsabilità. Tutto questo accompagnato da una eloquente e gioiosa testimonianza di vita semplice accanto ai poveri e da una missione che privilegi le periferie esistenziali. Dal rinnovamento della vita fraterna in comunità dipende molto il risultato della pastorale vocazionale, il poter dire «venite e vedrete» (cfr. Gv 1, 39) e la perseveranza dei fratelli e delle sorelle giovani e meno giovani. Perché quando un fratello o una sorella non trova sostegno alla sua vita consacrata dentro la comunità, andrà a cercarlo fuori, con tutto ciò che questo comporta.”

“È difficile, conclude il papa, mantenersi fedeli camminando da soli, o camminando con la guida di fratelli e sorelle che non siano capaci di ascolto attento e paziente, o che non abbiano un’adeguata esperienza della vita consacrata. Abbiamo bisogno di fratelli e sorelle esperti nelle vie di Dio, per poter fare ciò che fece Gesù con i discepoli di Emmaus: accompagnarli nel cammino della vita e nel momento del disorientamento e riaccendere in essi la fede e la speranza mediante la Parola e l’Eucaristia (cfr. Lc 24, 13-35)”.

In ultima analisi, il papa esorta le consacrate e i consacrati a ritornare alle fonti del proprio carisma bisogno di riformarsi continuamente, di “aggiornarsi”, per usare l’espressione usata da papa Giovanni XXIII, nell’indizione del Concilio Vaticano II. La festa della presentazione del Signore di quest’anno, poi, cade nel cinquecentesimo anniversario della riforma luterana. E proprio questa coincidenza ci offre lo spunto per interiorizzare il richiamo del Papa alla fedeltà. Il cuore della riforma luterana, infatti, può essere riassunto da una domanda che si poneva il monaco Lutero, desideroso di vivere in piena fedeltà la sua vocazione di religioso agostiniano. Egli non voleva fare il mestiere del religioso ma vivere da religioso e, in questo suo proposito, trovava le difficoltà che troviamo tutti quanti noi nel mantenere fede ai nostri doveri di vita consacrata. La domanda che si poneva era: “come posso trovare un Dio benigno”? Ossia come posso trovare un Dio che mi perdoni e non mi giudichi, che mi comprenda e non mi opprima? Lutero ha trovato la risposta nella cosiddetta “scoperta della torre” che gli ha fatto capire che Dio era Padre della misericordia e del perdono e non del giudizio e della condanna. Questa risposta è valida anche per noi, perché ci aiuta ad avere un concetto giusto di Dio e a stabilire un valido rapporto con Lui, a pregarlo come Padre nel momento della lode e della prova, della gioia e del bisogno.

La liturgia della Parola, nel messaggio della prima lettura, ci assicura che Gesù capisce la nostra umanità ferita, perché l’ha assunta, non ha fatto finta di essere uomo, ma lo è stato veramente fino in fondo, condividendo la nostra condizione umana in tutto, eccetto il peccato. La reazione del vecchio Simeone nell’abbracciare il Salvatore, secondo il Vangelo, manifesta in qualche modo il bisogno interiore di incontrare Gesù, il Salvatore. Noi, però, non possiamo vedere il Salvatore Gesù con gli occhi del corpo, come lo videro i discepoli e lo stesso Simeone. Noi lo vediamo con gli occhi della fede. Apparteniamo alle generazioni di coloro che Gesù ha dichiarato beati perché credono senza vedere. Oggi, siamo chiamati a vedere la bontà di Dio oltre le molte tragedie umane, le guerre, i terremoti, le violenze gratuite. La domanda che si sente evocare di continuo è: “dov’è Dio”? di fronte a tante morti innocenti, alla distruzione di beni e di affetti, alle disperazione dei giovani e dei vecchi?

Solo gli occhi della fede possono intravvedere la salvezza oltre queste barriere di dolore e di disperazione, credere nella bontà di Dio nonostante la presenza del male nel mondo. Penso che la missione particolare delle consacrate e dei consacrati, oggi come oggi, sia proprio quella di testimoniare con coraggio profetico la presenza di Dio nella vita delle persone che soffrono, che dubitano, che protestano. Dobbiamo accettare la protesta come forma di preghiera, di richiesta di aiuto, di solidarietà, di compassione. Dio è presente dietro un gesto di carità, una parola d’incoraggiamento. Possiamo e dobbiamo compiere qualche gesto di carità. Così testimonieremo fedeltà a Dio attraverso la fedeltà agli uomini.