Cattedrale di Oristano, 3 gennaio 2008
“Ascolta, popolo mio, ti voglio ammonire; Israele se tu mi ascoltassi” (Sal 80, 9). Questa invocazione del salmista esprime molto bene il messaggio del nostro convegno ecclesiale e l’impegno che siamo chiamati a prendere: vivere in ascolto e dell’ascolto della Parola di Dio.
Anzitutto, siamo chiamati a vivere in ascolto della Parola. L’itinerario della Parola è da Dio all’uomo, cioè dal cielo alla terra, dall’eternità al tempo. Essa si manifesta come Parola eterna di Dio, si irradia nella creazione, assume profilo storico nei profeti, si manifesta nella persona di Gesù, risuona nella voce degli apostoli, e oggi viene proclamata nella Chiesa. Dio inizia la sua opera creatrice chiamando per nome (Gn) e la porta a compimento salvandola e imponendo un nuovo nome (Ap 2, 17). L’inizio e la conclusione della storia della salvezza, dunque, è circoscritta dalla chiamata di Dio. Il primo libro della Scrittura si apre con le parole “in principio Dio creò il cielo e la terra”. Il vangelo di San Giovanni riprende il tema nel prologo con le parole “in principio era il Verbo”. In questo modo, la parola di Dio si costituisce come l’elemento di unità e di continuità tra la prima e la nuova alleanza, tra la creazione e la redenzione; in breve, essa si costituisce come elemento di unità di tutta la storia della salvezza.
“È importante, ci ricorda Benedetto XVI, che ogni cristiano viva in contatto e in dialogo personale con la Parola di Dio, donataci nella Sacra Scrittura. Questo nostro dialogo con essa deve sempre avere due dimensioni: da una parte, dev'essere un dialogo realmente personale, perché Dio parla con ognuno di noi tramite la Sacra Scrittura e ha un messaggio per ciascuno. Dobbiamo leggere la Sacra Scrittura non come parola del passato, ma come Parola di Dio che si rivolge anche a noi e cercare di capire che cosa il Signore voglia dire a noi. Ma per non cadere nell'individualismo dobbiamo tener presente che la Parola di Dio ci è data proprio per costruire comunione, per unirci nella verità nel nostro cammino verso Dio. Quindi essa, pur essendo sempre una Parola personale, è anche una Parola che costruisce comunità, che costruisce la Chiesa. Perciò dobbiamo leggerla in comunione con la Chiesa viva. Il luogo privilegiato della lettura e dell'ascolto della Parola di Dio è la liturgia, nella quale, celebrando la Parola e rendendo presente nel Sacramento il Corpo di Cristo, attualizziamo la Parola nella nostra vita e la rendiamo presente tra noi. Non dobbiamo mai dimenticare che la Parola di Dio trascende i tempi. Le opinioni umane vengono e vanno. Quanto è oggi modernissimo, domani sarà vecchissimo. La Parola di Dio, invece, è Parola di vita eterna, porta in sé l'eternità, ciò che vale per sempre. Portando in noi la Parola di Dio, portiamo dunque in noi l'eterno, la vita eterna”.
Siamo chiamati, dunque, a vivere in ascolto della Parola, ma soprattutto siamo chiamati a vivere dell’ascolto della Parola. Nel libro della Scrittura troviamo le chiamate di Dio, alle quali il popolo di Israele ha risposto con l’assunzione di impegni concreti e con la volontà di conversione. Quelle risposte alle chiamate di Dio nel corso della storia della salvezza sono come dei paradigmi che aiutano a capire come debbano essere le risposte dei cristiani alla propria chiamata. Quando Giosuè ha richiamato l’intervento liberatore di Dio e il conseguente dovere della memoria e della fedeltà, il popolo ha risposto con l’impegno a servire il Signore e a obbedire alla sua voce: “Temete dunque il Signore e servitelo con integrità e fedeltà; eliminate gli dèi che i vostri padri servirono oltre il fiume e in Egitto e servite il Signore…” Il popolo rispose a Giosuè: “noi serviremo il Signore nostro Dio e obbediremo alla sua voce” (Gs 24, 14.24). Quando il sacerdote Esdra ha proclamato la legge, il popolo ha risposto con la pratica della carità: “Allora tutto il popolo si radunò come un solo uomo sulla piazza davanti alla porta delle Acque e disse ad Esdra, lo scriba, di portare il libro della legge di Mosè che il Signore aveva dato a Israele. Il primo giorno del settimo mese, il sacerdote Esdra portò la legge davanti all’assemblea degli uomini, delle donne e di quanti erano capaci di intendere. Lesse il libro sulla piazza davanti alla porta delle Acque, dallo spuntare della luce fino a mezzogiorno, in presenza degli uomini, delle donne e di quelli che erano capaci di intendere; tutto il popolo porgeva l’orecchio a sentire il libro della legge…Tutto il popolo andò a mangiare, a bere, a mandare porzioni ai poveri e a fare festa, perché avevano compreso le parole che erano state loro proclamate” (Ne 8, 1-3.12). Sono due esempi, fra i tanti, che rivelano la fecondità della pratica dell’ascolto della Parola: fedeltà a Dio e conversione della vita.
Può darsi che molte delle parole del seminatore Gesù non abbiano trovato e non trovino il terreno fertile della nostra coscienza e della nostra vita. Riteniamo la morale evangelica troppo esigente; il modello delle beatitudini troppo alto. Consideriamo insegnamenti quasi impossibili da praticare il comandamento del perdono settanta volte sette, la verginità per il Regno dei cieli, la riconciliazione con i nostri nemici prima dell’Eucaristia, il rispetto della vita in tutte le sue forme e in tutti i suoi tempi. I momenti di entusiasmo e di gioia interiore, vissuti dopo un ritiro spirituale, dopo un campo scuola, dopo un’esperienza felice, svaniscono molto spesso come il seme caduto sul terreno sassoso, che si seccò perché non aveva radici (Mt 13, 6-7).
Il contrasto tra la chiamata di Dio alla santità e la risposta umana con la mediocrità mette in evidenza il fatto che l’ascolto della Parola di Dio contiene molto spesso il passaggio obbligato della croce. Cristo, che è la risposta massima di Dio, la rivelazione suprema di Dio Padre, è storicamente il Gesù che muore processato e abbandonato dai discepoli, ed è risuscitato da Dio. La croce come rifiuto di Dio, come uccisione di un Dio-uomo, è un elemento ineliminabile dalla storia dell’umanità. In essa si assomma la potenza del male e la potenza del bene, la malizia della libertà umana e la bontà dell’amore divino.
Il vero ascolto di una parola, ad ogni modo, è la sua traduzione in uno stile di vita, in un modello di comportamento, in una scelta di campo d’azione, in una costruzione della propria casa sulla roccia (cfr. Mt 7, 24). Il richiamo a tradurre in prassi coerente la conoscenza della legge, e, quindi, le “Parole del Signore” (Es 24, 4), “le Dieci Parole” (Es 34, 28) è costante in tutta la predicazione dei profeti e nella predicazione di Gesù, come si può constatare in modo particolare dalla parabola del buon seminatore che ab
L’apostolo Giacomo esorta i cristiani ad essere coloro “che mettono in pratica la Parola e non soltanto ascoltatori, illudendo se stessi. Perché, se uno ascolta soltanto e non mette in pratica la Parola, somiglia a un uomo che osserva il proprio volto in uno specchio: appena s’è osservato, se ne va, e subito dimentica com’era. Chi invece fissa lo sguardo sulla legge perfetta, la legge della libertà, e le resta fedele, non come un ascoltatore smemorato ma come uno che la mette in pratica, questi troverà la sua felicità nel praticarla” (Gc 1, 22-25). L’esortazione dell’apostolo Giacomo si capisce ancora meglio se la si paragona con la delusione pedagogica di Dio, percepibile nella minaccia di Gesù per le città che non hanno accolto e praticato il suo insegnamento e la sua predicazione: “Guai a te, Corazin! Guai a te Betsaida. Perché se a Tiro e a Sidone fossero stati compiuti i miracoli che sono stati fatti in mezzo a voi, già da tempo avrebbero fatto penitenza, ravvolte nel cilicio e nella cenere” (Mt 11, 21).
Cari amici,
la Parola di Dio richiede operosità e coraggio. Lungo il corso dell’anno pastorale vogliamo mostrare quest’operosità e questo coraggio, facendo diventare la Parola il nucleo della catechesi, la guida della spiritualità personale, l’anima delle comunità impegnate nell’apostolato e nei diversi ministeri. Ma vorrei ricordarvi che più che gli ambiti in cui lavorare per vivere e praticare la Parola, è importante il modo con cui si lavora e si testimonia l’efficacia della Parola. Non bisogna dimenticare che la forma suprema della comunicazione è l’amore, e che l’amore genera gesti di gratuità, perdono, riconciliazione. Il più grande gesto dell'amore di Dio, infatti, non è una parola, ma un’azione, come dice San Giovanni: "Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia ma abbia la vita eterna" (Gv 3, 16). Gesù è la Parola giusta di Dio Padre; la Parola fatta uomo; la Parola che salva e che perdona. Promettiamo, a conclusione di questo convegno ecclesiale, di essere sempre messaggeri di quella Parola e testimoni di quella salvezza.