Cattedrale di Oristano, 11 ottobre 2015
Con la celebrazione eucaristica di oggi vogliamo invocare la benedizione del Signore su una nuova stagione della nostra comunità ecclesiale arborense. Per più di due anni abbiamo lavorato nel Sinodo Diocesano, anche con l’aiuto di due lettere pastorali, che hanno svolto la funzione di instrumentum laboris. Da oggi siamo chiamati a “vivere” il Sinodo Diocesano.
Iniziamo, cioè, un processo di conversione missionaria del nostro vivere cristiano, per rendere la nostra Chiesa diocesana fontana di villaggio cui tutti possono attingere l’acqua che dà vita, l’ospedale da campo in cui si curano le ferite, l’arca dell’alleanza in cui si stringono patti di collaborazione fra presbiteri e fedeli laici. Siamo tutti chiamati a superare vecchie strategie pastorali, non più rispondenti alla realtà del nostro tempo, e a rinnovarci nei sentimenti, nelle relazioni, nelle strutture. In questo processo di rinnovamento ci poniamo sulla scia del Concilio Vaticano II, che esattamente 53 anni fa, nella solennità della divina maternità di Maria, iniziava il cammino di “aggiornamento” della Chiesa, sotto la guida profetica di papa Giovanni XXIII.
Parafrasando, ora, il racconto del Vangelo che è stato poc’anzi proclamato, possiamo dire che Gesù ha fissato lo sguardo anche su di ognuno noi singolarmente e sulla nostra comunità diocesana e ci ha chiamato a seguirlo con libertà e decisione. Sono tanti i modi, i tempi, i luoghi nei quali abbiamo percepito o avremmo dovuto percepire la chiamata di Gesù, intercettare il suo sguardo di amicizia, ascoltare la sua voce di “Maestro buono”. Ognuno di noi ha sperimentato le visite del Signore nella sua vita. Quelle che ci hanno confortato nelle nostre scelte giuste, e quelle che ci hanno lasciato il rimorso per le nostre scelte sbagliate. La chiamata del Signore nella nostra vita è certa. Il suo amore, il suo perdono, la sua pazienza sono ugualmente certezze. Ma è certa anche la nostra risposta? Quale effetto ha fatto la chiamata di Dio nei nostri orientamenti di vita e nella gestione dei nostri affetti? Ci siamo mai resi conto di essergli debitori della vita, della salute, della fede, degli affetti più intimi e sinceri? Al giovane ricco egli ha chiesto di rinunciare alle sue ricchezze per poter diventare suo discepolo. Il giovane ricco, per tutta risposta, ha rifiutato questa richiesta ed è andato via “triste”. Che cosa succede con il nostro rapporto personale con Dio? Lo riduciamo alla frequenza della messa domenicale, al segno della croce quando passiamo davanti alle Chiese, all’invocazione del suo aiuto sul letto dell’ospedale, a fare la processione nella festa del santo patrono? Oggi, Gesù rivolge lo stesso invito del giovane ricco a tutti noi; ci chiede di diventare suoi discepoli e di lasciare dietro di noi le nostre abitudini, la nostra mentalità, le nostre certezze.
La condizione per diventare discepoli di Cristo è di essere disposti a prendere la sua croce, cioè essere pronti ad affrontare, nel suo Nome e per la sua causa, ogni genere di difficoltà, dubbi, delusioni, solitudine. Il Vangelo ci ricorda che la ricompensa per tutto quello che lasciamo su questa terra è “mista alle persecuzioni”, e la felicità definitiva sarà garantita solo “nel tempo che verrà”. Il discepolo, perciò, non può pretendere alcuna dispensa dalla fatica della fede, alcuna esenzione dagli imprevisti del lutto e del dolore. Egli vive le difficoltà comuni, è sottoposto alla tentazione dello sconforto e della rassegnazione. In più, rispetto agli altri, egli ha solo la motivazione della fede in Dio, che rende possibile ciò che è impossibile all’uomo. In questa sua fede, è confortato dall’esempio dei santi, che hanno saputo affidare tutte le loro difficoltà e tutti i loro progetti alla Provvidenza divina.
Per attuare nei fatti e non a parole il Sinodo Diocesano, sono due le sfide che dobbiamo affrontare e che richiedono il cambiamento della nostra mentalità: la pastorale della parrocchia e la collaborazione dei laici. Per quanto riguarda la pastorale della parrocchia, dobbiamo prendere atto che è venuta meno la ricchezza del numero dei sacerdoti, alla quale era collegata la dimensione pubblica della vita di fede, il riconoscimento sociale della religione da parte delle istituzioni civili, la protezione del potere politico, la benevolenza del potere mediatico. Oggi, a causa del venire meno di questa ricchezza, ci si dovrà abituare a non avere più tante parrocchie quanti sono i paesi, ma a formare una sola comunità ecclesiale che vive e opera in più paesi. “La parrocchia, scrive Papa Francesco, proprio perché ha una grande plasticità, può assumere forme molto diverse che richiedono la docilità e la creatività missionaria del pastore e della comunità. Sebbene certamente non sia l’unica istituzione evangelizzatrice, se è capace di riformarsi e adattarsi costantemente, continuerà ad essere “la Chiesa stessa che vive in mezzo alle case dei suoi figli e delle sue figlie”. Il Sinodo incoraggia presbiteri e fedeli laici, perché là dove è possibile comincino ad operare le unità pastorali sotto “forme strutturali di collaborazione interparrocchiale” negli ambiti della pastorale giovanile, della pastorale familiare, della formazione dei catechisti. Questa nuova forma di collaborazione richiede tempo e convinzione per essere assimilata, ma anche lo sforzo comune e la buona volontà per assimilarla.
Se è vero, ora, che viene meno la ricchezza del numero dei sacerdoti, è altrettanto vero che le parrocchie dispongono di una ricchezza che va scoperta e valorizzata: la collaborazione dei laici. A questo riguardo, voglio ricordare anzitutto che “il primo vero rinnovamento della parrocchia consiste nel passaggio dalla responsabilità di un solo soggetto, il parroco, alla corresponsabilità dell’intera comunità. La comunità parrocchiale nel suo complesso è il soggetto della missione e dell’evangelizzazione. Essa si fa carico di portare l’annuncio del Vangelo e la testimonianza della vita cristiana fuori del recinto del territorio”. Le forme più comuni d’esercizio della corresponsabilità nella vita della parrocchia sono gli organismi di partecipazione, cioè i Consigli Pastorali Parrocchiali e il Consiglio per gli Affari Economici. A più riprese ho ribadito la necessità che questi organismi vengano costituiti e siano resi operativi in ogni parrocchia. Lo ribadisco ancora una volta, facendo appello alla buona volontà e alla coscienza ecclesiale di tutti indistintamente, presbiteri e fedeli laici. Se si riuscirà a promuovere il rinnovamento missionario della parrocchia attraverso forme intelligenti di collaborazione, e se nelle parrocchie prendono a funzionare efficacemente e non solo virtualmente gli organismi di partecipazione quali sono, appunto, i Consigli Pastorali e il Consiglio per gli Affari Economici, il Sinodo Diocesano avrà raggiunto il suo obbiettivo. Non saranno stati vani il lavoro dei delegati, le assemblee parrocchiali, la proposta di linee guida che danno anima e prospettiva alle comunità parrocchiali.
Cari fratelli e sorelle,
il Sinodo, ora, è nelle vostre mani. Non mi resta che invocare la potenza dello Spirito e la protezione della Vergine, perché ognuno di voi si senta chiamato da Gesù a vivere il suo essere cristiano con coraggio e profezia, in fedeltà alla propria vocazione missionaria. Dio benedica la nostra Chiesa arborense.