Cattedrale di Oristano, 14 ottobre 2017
Vi do un cordiale benvenuto alla celebrazione dell’Eucaristia che ci fa sentire Chiesa diocesana, ossia Chiesa di Dio che è in Oristano. Il nostro convenire annuale è un’occasione privilegiata per farci prendere coscienza che siamo parte di un’unica grande comunità, qui presente e sparsa nel mondo. L’inizio della nostra vita cristiana è stato proprio l’inserimento, mediante il battesimo, in questa grande famiglia della Chiesa.
Da quel momento non esistiamo e non dovremmo agire più come battitori liberi o navigatori solitari. Giustamente, Papa Francesco ha detto che il nostro nome è: “cristiano”; il nostro cognome è: “Chiesa”. “Non esiste un cristiano senza Chiesa, un cristiano che cammina da solo, perché Gesù stesso si è inserito nel cammino del suo popolo”, “non si può capire un cristiano fuori dal popolo di Dio. Il cristiano non è una monade”, ma “appartiene ad un popolo: la Chiesa. Un cristiano senza Chiesa è una cosa puramente ideale, non è reale”. “Non si può capire Gesù Cristo senza storia. Così un cristiano senza storia, un cristiano senza popolo, un cristiano senza Chiesa non si può capire. È una cosa di laboratorio, una cosa artificiale, una cosa che non può dar vita”.
Siamo convenuti per iniziare insieme, nel nome del Signore, un cammino di fede, di comunione, di missione evangelizzatrice. Il programma pastorale di quest’anno è molto semplice, ma, non per questo, meno impegnativo ed esigente: giungere ad una conoscenza personale di Gesù e portare le persone con le quali condividiamo la vita di fede a questa conoscenza personale. La meta è comune. Il percorso può essere diverso, a seconda dei mezzi e delle risorse di ogni parrocchia e di ogni forania. Ogni parrocchia e ogni forania, infatti, deve trovare il suo cammino per fare incontrare la persona di Gesù. La prima condizione per arrivare a questo incontro, comunque, è sentire la necessità di stabilire un rapporto personale con Gesù. La nostra conoscenza di Gesù provenire molto probabilmente dallo studio della religione cristiana o dalle lezioni del catechismo. Ma questo tipo di conoscenza è come una nozione di geografia o di matematica. Nelle ore della prova e del dolore, delle decisioni fondamentali, delle sfide della vita, non ci salva una nozione di geografia o una formula di matematica. Ci salva Gesù, con il quale vogliamo stabilire un rapporto personale di amicizia e comunione, come quello simboleggiato dalla partecipazione al banchetto nuziale. Finché uno è giovane ed ha la vita davanti, spazia nel mondo dei desideri e dei progetti. Ma quando uno è avanti negli anni e comincia a guardare oltre la sponda del tempo, deve fare i conti con il reale affidamento della sua vita a Gesù e con la scommessa della fede nell’esistenza di Dio, Padre di misericordia e giusto Giudice.
Il re della parabola evangelica invita al suo banchetto nuziale tutti senza distinzione, senza che qualcuno avanzi meriti particolari o debba pagare il biglietto per essere ammesso alla festa. Il comportamento del re evoca lo stile di Dio, che, secondo Papa Francesco, chiama ognuno per nome e non per aggettivi. I nomi sono Carlo, Giovanni, Angela, Teresa. Gli aggettivi sono credente, non credente, praticante, non praticante, sposato, convivente, divorziato, vicino, lontano. Gli aggettivi indicano le condizioni mutevoli della vita, che possono cambiare nel corso delle stagioni dell’esistenza umana, mentre i sostantivi indicano la persona, l’unica creatura che Dio ha voluto per se stessa (GS, 24), e che ha creato a sua immagine e somiglianza (Gn 1, 26-28).
La parabola parla anche dei servi mandati dal re ad invitare la gente alla festa, e di un invitato che si presenta alla festa senza l’abito nuziale.
Per quanto riguarda i servi del re, nella nostra attualità, essi possono essere paragonati agli amici, ai parrocchiani, alle persone che condividono la nostra vocazione e missione. Da tutti costoro possiamo ricevere una parola giusta, una critica fraterna, un incoraggiamento. Davanti a questa offerta di aiuto non possiamo chiuderci in noi stessi, abbandonandoci ad un individualismo esasperato e ad una solitudine amara. La condivisione è necessaria. Tutti i doni che riceviamo dal Signore della vita sono da condividere con i fratelli e le sorelle, perché altrimenti cessano di essere doni, e rimangono privilegi personali, aridi e infecondi. La condivisione, poi, oggi è più che mai necessaria nella vita della comunità parrocchiale e diocesana.
Un movimento di laici d’oltralpe ha introdotto tempo fa lo slogan: “noi siamo chiesa”, per rivendicare la corresponsabilità dei fedeli laici nella gestione delle attività ecclesiali. Si può tradurre e adattare questo proclama e dire: “noi siamo parrocchia”, per risvegliare l’impegno di tutti i fedeli laici nella vita e nelle attività della parrocchia. I sacerdoti residenti in parrocchia, ormai, sono sempre meno. In questo momento, abbiamo alcuni sacerdoti che reggono due o più parrocchie. Essi non possono diventare i 118 delle messe e dei funerali, e correre senza sosta da una parte all’altra della Diocesi. Ogni fedele deve fare la sua parte. Nessuno si deve tirare indietro, perché quello che può e deve fare lui non lo farà nessuno. D’altra parte, non si può rimanere nascosti dietro il muretto e pensare che offendere, calunniare, dividere, sia un diritto, mentre chiedere perdono per il male che si fa e le divisioni che si creano non sia un vero dovere. Dio benedica quella comunità nella quale ci si parla guardandosi negli occhi, e si ha il coraggio di dirsi quello che va bene e quello che va male, quello che unisce e quello che divide. Di recente, sono state aperte gravi ferite a diversi livelli. E’ interesse di tutti collaborare per sanare queste ferite, ricucire i rapporti compromessi, riprendere a camminare insieme con il cuore e la mente riconciliati.
L’invitato che non porta l’abito nuziale e viene punito duramente corrisponde, in qualche modo, all'uomo che non vuole essere salvato dall’abito della misericordia di Dio ma dal vestito del suo merito dei pellegrinaggi, delle candele accese, delle offerte generose. Non vuole stabilire un rapporto corretto con Dio e pensa di ingannarlo con i formalismi rituali e le conversioni interessate. Ma Dio vuole misericordia e non sacrifici (Mt 9, 13)! Se un sacrificio dobbiamo fare è quello della nostra volontà, dei nostri progetti, per fare la volontà di Dio e realizzare il Suo progetto, pensato da sempre per la nostra gioia e la nostra felicità. Impegniamoci, allora, ad annunciare sempre e comunque il Vangelo di Gesù, perché “la gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù. Coloro che si lasciano salvare da Lui sono liberati dal peccato, dalla tristezza, dal vuoto interiore, dall’isolamento. Con Gesù Cristo sempre nasce e rinasce la gioia” (EG, 1).
La Vergine Santissima, Madre di Gesù e della Chiesa, alla cui protezione affidiamo il nostro anno pastorale, ci renda apostoli del Vangelo e servitori della sua gioia.