Parrocchia di Nuragus, 15 gennaio 2008
“Prima della fine non chiamare nessun uomo beato. Un uomo si conosce veramente alla fine”. È questo l’ammonimento del Siracide che abbiamo letto questa mattina nell’ufficio delle letture. Per don Simone, la fine e la dichiarazione della sua beatitudine è giunta ieri prima dell’alba, in corrispondenza singolare a una delle indicazioni riportate
dal vangelo di S. Luca che abbiamo ascoltato. Gesù, in queste indicazioni, ha raccomandato ai suoi discepoli di essere sempre pronti al suo incontro, ci ha insegnato a contare i nostri giorni per conseguire la sapienza del cuore. E don Simone, in fedele obbedienza a questo insegnamento del Maestro, era pronto, purificato interiormente da lunghi anni di sofferenza, gratificato pastoralmente da quasi 60 anni di ministero sacerdotale. Come primo sacerdote ordinato da Mons. Fraghì esercitò il ministero con zelo e passione nei primi anni in Seminario, come assistente, poi a Busachi come viceparroco; quindi, dal 1950, come parroco prima a Fordongianus, poi a Simaxis e infine a Barumini, da dove nel 2002 si ritirò in famiglia a Nuragus. Non si ritirò, però, dal suo ministero che continuò ad esercitare come cappellano della casa di riposo di Genoni fino al giungo del 2006.
Don Simone è il quinto sacerdote che, dall’inizio del mio ministero come pastore della Chiesa arborense, raggiunge il cielo e ritorna alla casa del Padre. Il mio primo contatto con la diocesi, il 23 giugno del 2006, appena arrivato ad Oristano, è stato con la morte di un sacerdote: don Antonio Murtas. Letta alla luce della Provvidenza che guida la storia della nostra vita, questa circostanza era un richiamo a cominciare il ministero di pastore tenendo alto lo sguardo al traguardo finale della nostra esistenza, il cielo, perché il cielo dà il senso alla terra, così come il cielo dà il colore al mare. Solo alla fine del nostro pellegrinaggio scopriamo la trama giusta della vita, quella scritta dal cuore di Dio sin dall’eternità. Nella fede della comunione dei santi, don Simone raggiunge i nostri fratelli sacerdoti che pregano con noi e per noi, che ci raccomandano presso Dio, Padre di misericordia e di perdono.
Don Simone, come tutti i cristiani, è stato battezzato nella morte di Cristo. Il segno della morte di Cristo, il crocifisso, è, però, anche il segno della vita. La croce ha costituito il passaggio cruento dal tempo all’eternità, dalla vita terrena alla vita eterna. È il passaggio non all’abisso del nulla, ma alla vita senza tramonto. Nel Medio Evo si diceva: media vita mortui sumus. Nel mezzo della vita siamo morti. Media morte vivi sumus: nel mezzo della morte siamo vivi. Ciò significa che vita e morte camminano insieme, e se, accolte come dono di Dio, diventano percorsi di speranza. La Scrittura e la testimonianza dei parenti e degli amici ci assicurano che Don Simone è morto in Cristo e vive in Cristo. Questa è la nostra fede e questa è la nostra consolazione.