Parrocchia di Ghilarza, 9 giugno 2015
Ci troviamo riuniti in questa celebrazione di fede e speranza, per affidare con la nostra preghiera don Salvatore alle braccia misericordiose di Dio Padre. Don Salvatore ha servito il Signore nel ministero presbiterale in diverse parrocchie della diocesi, prima come viceparroco, a Neoneli, Cabras, Paulilatino, Santa Giusta, e poi come parroco a Nughedu Santa
Vittoria, Sorradile, Bidonì, Norbello, Abbasanta. A Ghilarza ha trascorso il periodo più lungo e anche più sofferto, a causa della malattia, che lo ha portato pellegrino di dolore da un ospedale all’altro. Ho concelebrato la messa con lui, e forse è stata la sua ultima messa, il 23 maggio scorso, vigilia di Pentecoste, quando ha voluto unirsi al Vescovo per invocare il dono dello Spirito sui ragazzi ai quali non aveva potuto donare la prima comunione, perché in ospedale a Milano. In quell’occasione, su indicazione di don Italo, un bimbo gli ha offerto una rosa, prendendola dai vasi di fiori dell’altare. Vorrei rinnovare idealmente quel gesto simbolico a nome della nostra comunità ecclesiale, in segno di gratitudine per i 42 anni del suo sacerdozio, ricevuto per le mani di Mons. Fraghì ad Oristano il 5 agosto 1973, e speso, oltre che nel ministero parrocchiale, in quello di vicario foraneo, membro del Collegio dei Consultori e Assistente Ecclesiastico Regionale per i Coltivatori Diretti.
Il vangelo di oggi ricorda la missione del cristiano di essere sale della terra e luce del mondo. Che significano queste immagini? Esse non sono un imperativo etico, perché non ci dicono che dobbiamo essere sale della terra e luce del mondo, ma affermano un’identità già attuale, perché ricevuta in dono, essendo noi già sale della terra e luce del mondo. Questa identità ci è stata donata sacramentalmente con il battesimo e diviene operante per mezzo della nostra fede. L’affermazione di Gesù a essere sale della terra e luce del mondo viene dopo il discorso sulle beatitudini. Sono sale della terra e luce del mondo, dunque, coloro che praticano le beatitudini. Lo stile delle beatitudini, ossia della povertà in spirito, del primato della misericordia, dell’impegno per la pace e la riconciliazione, dà significato evangelico alle nostre azioni quotidiane. Il sale, nella Scrittura, è segno di alleanza e di pace: “Dovrai salare ogni tua offerta di oblazione: nella tua oblazione non lascerai mancare il sale dell’alleanza del tuo Dio; sopra ogni offerta porrai del sale” (Lv 2, 13) Esso è simbolo di sapienza, intesa anche come capacità di elevare i toni del dialogo: “Comportatevi saggiamente con quelli di fuori, cogliendo ogni occasione. Il vostro parlare sia sempre gentile, sensato, in modo da poter rispondere a ciascuno come si deve” (Col 4, 5-6). Con il sale, infine, si possono anche medicare le ferite e dare conforto e sollievo a chi soffre.
L’immagine della luce fa riferimento prima di tutto a Dio e alla sua Parola: “Il Signore è mia luce e mia salvezza: di chi avrò timore? (Sal 27, 1a); “Lampada per i miei passi è la tua Parola, luce sul mio cammino” (Sal 119, 105). L’immagine della luce è poi legata al tempio e alla città santa, intesa anche come comunità escatologica: “Alzati, rivestiti di luce, perché viene la tua luce, la gloria del Signore brillerà sopra di te” (Is 60, 1). Inoltre anche il servo di Dio è luce per le nazioni: “È troppo poco che tu sia mio servo per restaurare le tribù di Giacobbe e ricondurre i superstiti di Israele. Io ti renderò luce delle nazioni, perché porti la mia salvezza all’estremità della terra” (Is 49, 6). Nel Vangelo, Gesù identifica se stesso con la luce: “Io sono la luce del mondo; chi segue me non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita” (Gv 8, 12). Il Concilio ci ricorda poi che la luce di Cristo risplende sul volto della Chiesa: “Cristo è luce delle genti: questo santo concilio, adunato nello Spirito Santo, desidera dunque ardentemente, annunciando il Vangelo ad ogni creatura, illuminare tutti gli uomini con la luce del Cristo che risplende sul volto della Chiesa” (LG, 1).
In ultima analisi, le immagini della luce e del sale richiamano la dimensione verticale della vita cristiana: il sapore con cui viviamo, il senso che diamo alla nostra quotidianità, viene dall’alto, è il dono della sapienza di Dio, è il dono di agire seguendo la logica di Dio. Per un verso, le immagini ci dicono che non risplendiamo di luce nostra, ma riflettiamo la luce che viene dall’alto, la Parola di Dio fatta carne in Gesù, la vita nuova di Cristo in noi, il modo di vivere di Cristo operante in noi grazie allo Spirito Santo. Per un altro verso, queste stesse immagini ci dicono che senza Dio, senza la fede, diventiamo insipidi. Il sapore delle cose terrene finisce con il loro disfacimento. Il sapore delle cose celesti sconfina nell’orizzonte dell’eterno.
Le due similitudini richiamano anche la dimensione orizzontale della vita cristiana. Si è sale in rapporto ad una terra da salare e luce in rapporto ad un mondo da illuminare. Le relazioni con gli uomini e le donne di oggi, con la cultura contemporanea, non sono qualcosa di accidentale o di accessorio per la vita cristiana. Sono la cartina di tornasole per vedere se siamo testimoni del Vangelo e delle beatitudini o vittime del pensiero unico e delle categorie mondane. Sono le difficoltà della vita che mettono in evidenza il valore aggiunto della nostra fede in Dio e rivelano chiaramente se siamo solo religiosi o anche cristiani, se siamo i devoti delle feste patronali e i pagani della vita di famiglia e della società. È chiara la dialettica della vita cristiana: viviamo nel mondo e siamo segno di salvezza per il mondo ma apparteniamo a Cristo (Gv 3, 16-17; 17, 15-17); siamo sottomessi al Vangelo di Cristo proprio per rimanere liberi da tutto e da tutti, pur facendoci tutto a tutti (1Cor 9, 1-23); siamo cittadini responsabili nel mondo, siamo “l’anima del mondo” ma la nostra vera patria è nei cieli. La vera luce, quella che ha raggiunto don Salvatore, non conosce tramonto, quegli splendidi tramonti dei nostri mari e delle nostre montagne.
Un giorno, a un giornalista che gli chiese se fosse in lista di attesa, il Card. Martini, ormai vicino alla morte, replicò prontamente: “Vorrà dire: in lista di chiamata!” e continuò: “Io ho spesso rimproverato al Signore questo in passato. Gli dicevo: perché hai lasciato a noi la necessità di morire? Potevi morire Tu e poi dire: “Basta, passiamo tutti sul Ponte d’oro verso il cielo. Ma poi ho capito. Ho capito che se non fosse così non avrei mai l’occasione di fare un atto di completo abbandono a Dio. Perché in tutte le altre forme di fiducia c’è sempre una uscita di sicurezza. Invece qui non c’è e si può solo abbandonarsi completamente al Padre, nelle Sue mani, e credere nella Resurrezione di Gesù. La morte ci obbliga a fidarci totalmente di Dio”.
Don Salvatore ha risposto alla chiamata di Dio. In unione con Cristo, ha affidato la sua vita nelle sua mani. Non ci abbandona. Ci lascia una raccomandazione: piegare il cielo con la nostra preghiera e il nostro comportamento sul mare della nostra vita. Questo è a volte burrascoso, a volte calmo come l’olio. Il colore, però, lo riceve dal cielo. Diamo, allora il colore del cielo alle cose della terra. Diventiamo artigiani di speranza non per offrire vie di uscita dalle difficoltà della vita, ma per animare scelte coraggiose di fiducia, capaci di guardare avanti e di guardare in alto. Da qui ci viene l’aiuto del Signore, che ha fatto cielo e terra e ha vinto la morte con la vita.