Cattedrale di Oristano, 9 aprile 2009
Sono profondamente grato al Signore che mi dà la grazia di trovarmi insieme a voi attorno all’altare, per celebrare l’Eucaristia, che manifesta con efficacia sacramentale la comunione dei presbiteri con il loro vescovo. Abbiamo sentito ripetere spesso che “l’Eucaristia fa la Chiesa”.
Ebbene, in questo momento, sperimentiamo concretamente che l’Eucaristia fa la nostra Chiesa, unisce la nostra comunità diocesana, anima il popolo di Dio che, in comunione di ideali e di sentimenti, testimonia la gioia di credere, amare, sperare. Il profeta dell’ateismo Richard Dawkins ha dichiarato che il suo libro “L’illusione di Dio” ha fallito l’obbiettivo di convertire i lettori all’ateismo. Ha il sospetto che per ogni persona che viene confortata dalla fede ce ne sia un’altra che ne è mortalmente spaventata. Per questo ha appoggiato la campagna ateistica lanciata dalla giornalista e sceneggiatrice televisiva Ariane Sherine sui bus di Londra. Questa campagna diceva: “Probabilmente Dio non esiste. Smettetela di preoccuparvi dell’aldilà e divertitevi”. Il popolo di Dio, però, testimonia che questa campagna è vana, perché l’Eucaristia che celebra è pegno della vita eterna, dell’esistenza dell’aldilà; è pegno di una comunione senza fine, di un giorno senza tramonto.
Oggi acquista un significato tutto particolare la celebrazione eucaristica nella quale “mangiamo tutti lo stesso pane e beviamo tutti allo stesso calice”. Infatti, il rito del sacramento esprime la realtà della vita. Siamo uniti, presbiteri e fedeli, giovani e vecchi, uomini e donne, per professare “un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo, un solo Dio Padre di tutti”. Nella comunione del presbiterio oggi si inseriscono con promessa e speranza due nostri seminaristi, Omar Orrù e Maurizio Spanu. Essi vengono ufficialmente ammessi tra i candidati agli ordini sacri, per essere pronti ad assumere nella Chiesa il ministero che a suo tempo verrà loro conferito. Diamo loro il cordiale benvenuto. Uno speciale e cordiale benvenuto lo vogliamo dare a Mons. Pier Giuliano Tiddia, che condivide con noi la gioia di dispensatori dei misteri di Dio. Non voglio dimenticare, ovviamente, i nostri ragazzi cresimandi, prossimi beneficiari dell’unzione con il crisma che oggi viene consacrato. Benvenuti anche voi.
Quest’anno, cari fratelli e sorelle, la nostra riflessione in occasione della messa crismale è in qualche modo obbligata, perché non può non fare riferimento alle indicazioni del papa, cui va in questo momento la nostra solidarietà, il nostro affetto, la nostra filiale devozione. Nell’indire uno speciale anno sacerdotale, il santo Padre ha richiamato una speciale dimensione di spiritualità sulla quale vorrei offrirvi una breve riflessione. Ma prima di questa riflessione, vorrei rivolgere un invito paterno e convinto a tutta la comunità ecclesiale, perché nutra sentimenti di comunione e di riconciliazione. Siamo chiamati tutti, senza distinzione, ad uno sforzo comune per dimenticare eventuali offese ricevute e per guardare ad un futuro di reciproca stima, sincero dialogo, forte solidarietà. Basta con il guardare al passato. Il passato deve rimanere una scuola e non diventare un processo. Troviamo il coraggio di guardare al futuro, di avere meno ricordi e più prospettive. Molto spesso, dimenticare è più importante che imparare. Dimenticare le offese, dimenticare le delusioni, dimenticare gli insuccessi, dimenticare le vicende infelici. Se il passato non viene rimosso, il futuro non comincia mai.
Nella spiritualità sacerdotale, dunque, Benedetto XVI sottolinea in modo particolare la dimensione missionaria. Questa nasce dalla sua configurazione sacramentale a Cristo Capo, che porta con sé, come conseguenza, un’adesione cordiale e totale a quella che la tradizione ecclesiale ha individuato come l’apostolica vivendi forma. Essa consiste nella partecipazione ad una "vita nuova" spiritualmente intesa, a quel "nuovo stile di vita" che è stato inaugurato dal Signore Gesù ed è stato fatto proprio dagli Apostoli. Per l’imposizione delle mani del Vescovo e la preghiera consacratoria della Chiesa, i candidati divengono uomini nuovi, divengono "presbiteri". Certamente, la grande tradizione ecclesiale ha giustamente svincolato l’efficacia sacramentale dalla concreta situazione esistenziale del singolo sacerdote, e così le legittime attese dei fedeli sono adeguatamente salvaguardate. Ma questa giusta precisazione dottrinale nulla toglie alla necessaria, anzi indispensabile, tensione verso la perfezione morale, che deve abitare ogni cuore autenticamente sacerdotale.
La missione del presbitero si svolge nella Chiesa. Una tale dimensione ecclesiale e comunionale è assolutamente indispensabile ad ogni autentica missione e, sola, ne garantisce la spirituale efficacia. La missione è ecclesiale perché nessuno annuncia o porta se stesso, ma dentro ed attraverso la propria umanità ogni sacerdote deve essere ben consapevole di portare al mondo un Altro, Dio stesso. Dio è la sola ricchezza che, in definitiva, gli uomini desiderano trovare in un sacerdote. “Nel nostro tempo in cui in vaste zone della terra la fede è nel pericolo di spegnersi come una fiamma che non trova più nutrimento, la priorità che sta di sopra di tutte è di rendere Dio presente in questo mondo e di aprire agli uomini l’accesso a Dio”. La missione è comunionale, perché si svolge in un’unità e comunione che solo secondariamente ha anche aspetti rilevanti di visibilità individuale. Se il sacerdote non vuole diventare un semplice funzionario del sacro, deve operare in comunione con il suo vescovo e il suo presbiterio. Solo così, la sua esperienza dell’intimità divina può condurre, con umiltà e fiducia, le anime a lui affidate all’incontro con il Signore.
Come Chiesa e come sacerdoti annunciamo Gesù di Nazaret, Signore e Cristo, crocifisso e risorto, sovrano del tempo e della storia, nella lieta certezza che tale verità coincide con le attese più profonde del cuore umano. Nel mistero dell’incarnazione del Verbo, nel fatto cioè che Dio si è fatto uomo come noi, sta sia il contenuto che il metodo dell’annuncio cristiano. La missione ha qui il suo vero centro propulsore: in Gesù Cristo, appunto. La centralità di Cristo porta con sé la giusta valorizzazione del sacerdozio ministeriale, senza il quale non ci sarebbe né l’Eucaristia, né, tanto meno, la missione e la stessa Chiesa.
Concludo formulando gli auguri di santità di vita e fecondità apostolica a tutti i confratelli che festeggiano i giubilei sacerdotali.