Cattedrale di Oristano, 25 dicembre 2015
Il messaggio di Natale, ossia del Figlio di Dio che si è fatto uomo come noi, oggi ci viene annunciato con il canto di gioia del Profeta Isaia e con la rievocazione storica dell’azione dei profeti, fatta dall’autore della lettera agli Ebrei.
Il profeta esorta il popolo di Israele e, in esso, il Popolo di Dio di tutti i tempi, ad aver fiducia nella ripresa sociale, religiosa, economica, o, in altri termini, ad aver fiducia in Dio, capace di vincere il male e di trasformare i peccatori in santi. Il tempo della sofferenza e della schiavitù passerà e sorgerà all’orizzonte un futuro di pace e di prosperità. La ragione della fiducia in Dio non poggia sul possesso di particolari doti umane, perché in questo caso si farebbe solo una previsione di ciò che si può fare a partire dalle nostre forze, ma sulla promessa di Dio, che è fedele, non inganna nessuno, rende possibile l’impossibile umano. Il Profeta mette in guardia coloro che “scendono in Egitto per cercare aiuto, e pongono la loro speranza nei cavalli, confidano nei carri perché numerosi e sulla cavalleria perché molto potente, senza guardare al Santo di Israele e senza cercare il Signore” (Is, 31, 1-3). La lettera agli Ebrei ci ricorda la pedagogia di Dio, che educa il suo popolo per mezzo dei profeti. In tutti i tempi e in tutti i luoghi ci sono stati uomini santi che hanno parlato a nome di Dio, che ne hanno garantito l’esistenza e la presenza, anche se le tragedie e la potenza del male portano molte persone a dubitare della bontà di Dio e a non ascoltare la voce dei profeti. Nell’anno santo della misericordia, Papa Francesco proclamerà santa Madre Teresa di Calcutta, la santa dei poveri, degli umili, degli scartati dalla società dei ricchi e dei benpensanti. I gesti di Madre Teresa sono più eloquenti di qualsiasi discorso sulla carità e la solidarietà. Il messaggio che Lei e le sue suore trasmettono è che Dio è buono e ricco di misericordia, è vicino ad ogni uomo e donna che soffrono, dà coraggio a tutti i samaritani della terra.
Può succedere, ora, che anche noi non ascoltiamo la voce dei profeti mandatici da Dio e pretendiamo che i morti o gli angeli, come nella parabola di Lazzaro e del ricco epulone, scendano dal cielo per assicurarci sull’esistenza della vita eterna e darci le regole e gli avvertimenti di buona condotta (Lc 16, 27-31). Può succedere, inoltre, che anche noi facciamo le domande insidiose e insincere a Gesù come gliele facevano i sommi sacerdoti e gli anziani del popolo quando gli chiedevano con quale autorità egli rimetteva i peccati e gli contestavano la sua divinità (Mt 21, 23). Magari, le nostre domande sulla bontà divina non sono così dirette, e si nascondono dietro i dubbi di fede o l’abbandono della preghiera e della pratica religiosa. Talvolta, ci allontaniamo da Dio, per protesta contro di Lui, pensando di fargli un dispetto e non ci rendiamo conto che facciamo un dispetto a noi stessi, che, alla fine, rimaniamo soli nella nostra delusione e disperazione.
Se a questi dubbi sulla bontà di Dio aggiungono la paura dell’insicurezza sociale, augurarsi Buon Natale, quest’anno, per molti di noi, è una scommessa e una sfida. Una sfida a sperare nonostante tutto, a trovare ragioni di futuro e sicurezza contro le previsioni di guerre vicine o lontane, di stragi compiute o minacciate. Ci vuole un bel coraggio, infatti, ad augurare un Natale di pace e sicurezza nel bel mezzo di continui allarmi. Anche se noi viviamo in periferia, in realtà geografiche e sociali meno esposte delle grandi città ai pericoli di attacchi terroristici, non ci sentiamo garantiti lo stesso nella nostra sicurezza. I mezzi di comunicazione, ormai a portata di tutti, tagliano le distanze e i tempi, e ci rendono partecipi quasi in contemporanea di eventi che si verificano nell’altra parte del mondo. Una strage nel centro di Parigi o di Amsterdam la si commenta in tempo reale nei negozi di Via Dritta e nei bar dei nostri paesi. I presupposti e le condizioni sociali, politiche, economiche, per trascorrere un Natale sereno, realisticamente, quindi, non ci sono nei grandi centri ma non ci sono neppure nei piccoli centri come il nostro. Ogni giorno leggiamo racconti di nuove tragedie, di guerre continue, di persecuzioni cruente, di scontri religiosi. Come si fa a vivere in pace e serenità se domina la paura e la sfiducia, se non possiamo fidarci di chi vive nella porta accanto, se ci si raccomanda di guardare con sospetto lo sconosciuto che incontriamo per strada, se abbiamo paura di essere attaccati da chi meno ce l’aspettiamo?
Eppure, nonostante tutto questo, non posso non farvi gli auguri di Buon Natale. Solo che, per passare un Buon Natale in pace e sicurezza, non basta la promessa della bontà natalizia alla Mulino Bianco, incoraggiata dalla pubblicità del panettone, che ci fa diventare accoglienti con i poveri e gli esclusi, fa dimenticare le offese ricevute, fa riconciliare la nuora con la suocera. Tutti questi sentimenti sono buoni e ringraziamo il Signore che ci siano. Però, da soli, non bastano. Per vivere un Buon Natale ci vuole una ragione forte.
Questa ragione forte la troviamo in una forma di speranza come quella di Abramo, quella cioè di un uomo che non può ancorare la sicurezza alla sua terra e ai suoi beni e si incammina verso una terra sconosciuta, indicatagli da Dio. Nella sua bisaccia di viandante non porta nulla. Non ha passato, perché lascia la sua terra. Non ha futuro, perché gli viene chiesto di sacrificare il proprio figlio. Quindi, non può fare alcuna previsione, non può contare su alcuna risorsa umana. Porta solo la promessa di Dio. Dobbiamo fare nostra questa bisaccia e questa speranza. Noi non possiamo gettare l’ancora della fiducia nelle acque dei nostri mari ma dobbiamo navigare nell’oceano infinito della misericordia divina. Dobbiamo appendere le stelle dei nostri desideri e dei nostri affetti sulla volta del cielo, al di sopra d’ogni orizzonte terreno, dove non arriva alcun urlo di guerra né alcun grido di pianto. Dopo tutto, il mondo odierno della guerra, dei tradimenti, delle persecuzioni, non è molto diverso dal mondo di tutte le epoche, compresa quella di quando è nato Gesù. La vita dell’uomo è sempre un combattimento. La storia dell’umanità è una storia di continue lotte tra il bene e il male. Le mamme di tutte le religioni e di tutti i continenti sono accomunate dal pianto per la morte dei propri figli. A tutte loro Gesù, come alla vedova di Naim e a Marta, la sorella di Lazzaro, dice: “non piangere” (Lc 7, 13), “Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà” (Gv 11, 25).
Cari fratelli e sorelle,
ognuno di noi ha genitori, figli, fratelli, sorelle, parenti, amici, con cui trascorre momenti felici. Proviamo a rimuovere i ricordi della tristezza e del risentimento e a conservare quelli della pace e della concordia. Sarà un Buon Natale se riusciremo a far trascorrere un momento di serenità a un malato, a strappare un sorriso a una persona triste, ad aiutare un amico che ha perso il lavoro. Di sicuro, non faremo vincere la guerra in Siria e sconfiggere il terrorismo, ma avremo comunque gettato un seme di pace. Dove questo seme fiorirà sarà un Buon Natale! Auguri di a tutti voi e alle vostre famiglie.