Cattedrale di Oristano, 25 dicembre 2016
Noi descriviamo il Natale come: “Dio con noi”. Dio che discende dalle stelle, secondo il canto popolare di Sant’Alfonso. Dio che si fa bambino, secondo la profezia del profeta Isaia “Un bambino è nato per noi, un figlio ci è stato dato: sulle Sue spalle è la Sua sovranità, e sarà chiamato Rivelatore del mistero di Dio”. Il Verbo che si è fatto carne e venne ad abitare in mezzo a noi, secondo il Vangelo di San Giovanni.
Proviamo, però, ad invertire i termini e diciamo: “Natale, uguale: noi con Dio”. Nella matematica, cambiando l’ordine dei fattori la somma non cambia. Ma, nella vita spirituale, sarà possibile cambiare l’ordine dei fattori nel nostro rapporto con Dio? Sarà veramente possibile, cioè, passare da un Dio con noi a un Noi con Dio? Da parte di Dio non c’è problema. Egli è fedele alla sua promessa di salvare gli uomini, è infinitamente paziente di fronte ai continui tradimenti e ripensamenti degli uomini, e, soprattutto, ha dimostrato la fedeltà con il fatto storico della nascita di Gesù in un paese della Palestina, del suo annuncio del Regno di Dio con le parole e i miracoli, della sua passione e morte, della sua risurrezione dai morti. Da parte dell’uomo, però, sembra che ci sia problema. Qual’ è, infatti, la risposta alla nascita di Gesù, e, quindi, alla presenza di Dio nella storia? Dice il Vangelo: “In lui era la vita, e la vita era la luce degli uomini, la luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l’hanno accolta” (Gv 1, 3). Ancora: “Il mondo fu fatto per mezzo di lui, eppure il mondo non lo riconobbe. Venne fra la sua gente ma i suoi non l’hanno accolto” (Gv 1, 10-11)”.
Ai nostri giorni, poi, sembra che molti vogliano fare a meno di Dio, che vogliano cavarsela da soli, che affidino il loro futuro non alla Provvidenza divina ma alla potenza della tecnica umana. In effetti, sempre più giovani chiedono lo sbattezzo. Sempre più coppie chiedono il matrimonio civile. Sempre più uomini chiedono il funerale laico. La fede viene spesso ridotta alla pratica religiosa nelle ricorrenze delle feste popolari. Le scelte di coerenza evangelica sono sempre meno frequenti. Si nutre una fiducia smisurata nella potenza della tecnica, alla quale si chiede non solo di guarire le malattie, di ridurre le distanze geografiche, di eliminare la fatica e il dolore, di modificare geneticamente gli organismi, ma, addirittura, di ottenere l’immortalità fisica. Si artificializza tutto, anche i sentimenti dell’anima. Questi diventano virtuali, nascono e muoiono con un semplice clic del computer, divenuto protesi inseparabile senza bocca e senza cuore. Agli occhi del viso si sostituiscono le faccine della gioia e del dolore, che non possono dare gioia vera e tanto meno eliminare il dolore vero.
Allora, come stabilire il nostro rapporto con Dio all’interno di questa situazione concreta? Che cosa significa per noi celebrare il Natale di Gesù nell’anno del Signore 2016? Una grande mistica spagnola, Teresa d’Avila, potrebbe rispondere così alla nostra domanda: “Se hai Dio, cosa ti manca? E se Dio ti manca, cosa hai?” In altri termini, se tu credi in Dio, lo ami, vivi alla sua presenza, hai tutto. Se, invece, vivi come se Dio non esistesse, se per te Dio è inutile e superfluo, puoi avere anche tutti i beni del mondo, ma hai poco o nulla. Questa affermazione potrà apparire radicale, come, del resto, sono radicali le scelte dei mistici, e, forse, poco rispettosa di chi non vuole credere o non ha il dono della fede. Ma contiene molta verità. L’ho potuto sperimentare, per esempio, nel sorriso disarmante di molti malati che si sentono felici per una stretta di mano e per una presenza di condivisione, e nella tristezza di tante persone, che, pure nella disponibilità di tanti mezzi, portano sul volto i segni della solitudine e della tristezza. È proprio vero che il denaro riempie la tasca ma lascia vuoto il cuore, mentre l’amore lascia vuote le tasche ma riempie il cuore.
Il vangelo odierno assicura che coloro che accolgono Gesù, ricevono il potere di diventare figli di Dio (cfr. Gv 1, 12). Il verbo potere non indica un possesso di qualcosa ma il valore aggiunto della fede, che ci fa vedere il mondo con gli occhi di Dio e Dio con gli occhi del mondo. Mentre il verbo diventare indica che si diventa figli di Dio non in virtù della semplice natura umana, ma con la generazione “dall’acqua e dallo Spirito” (cfr. Gv, 3, 1-21); quando, cioè, il battesimo e la fede ci introducono in una nuova dinamica dell’essere, e mettono un dinamismo nuovo nella nostra esistenza. Equivale a dire che non si nasce cristiani ma lo si diventa. Questo è vero soprattutto oggi, perché il secolarismo e il paganesimo strisciante rendono irrilevante la presenza di Dio nel mondo.
Il massimo della presenza di Dio è quella in forma umana, realizzatasi con la nascita di Gesù, che, in Occidente, ha fatto da spartiacque della storia. Infatti, in seguito alla nascita di Gesù la storia è divisa tra “prima di Cristo” e “dopo Cristo”. C’era bisogno di questa presenza personale? Non bastava la presenza di Dio, Padre Onnipotente, Creatore del cielo e della terra? No, non basta. Abbiamo bisogno di una presenza di qualcuno che ci guardi negli occhi e che ci dica: è bello che tu ci sei. Abbiamo bisogno di qualcuno che ci guardi con gli stessi occhi con cui Gesù guardava le persone che ha incontrato: i discepoli, i peccatori, i malati. Natale è cercare e trovare lo sguardo di Gesù che ci ama e ci salva.
Cari fratelli e sorelle,
se Gesù ci guarda con gli occhi dei profughi che scappano dai luoghi della guerra e della fame, non giriamoci dall’altra parte, ma inventiamoci qualche gesto di solidarietà. Alcuni ce li ha indicati Papa Francesco nella preghiera davanti alla statua dell’Immacolata in Piazza di Spagna: “portare alla culla di Gesù i bambini, specialmente quelli soli, abbandonati, e che per questo vengono ingannati e sfruttati; le famiglie, che mandano avanti la vita e la società con il loro impegno quotidiano e nascosto; in modo particolare le famiglie che fanno più fatica per tanti problemi interni ed esterni; tutti i lavoratori, uomini e donne, affidandogli soprattutto chi, per necessità, si sforza di svolgere un lavoro indegno e chi il lavoro l’ha perso o non riesce a trovarlo. Abbiamo bisogno della presenza di Dio, dice il Papa, per ritrovare la capacità di guardare le persone e le cose con rispetto e riconoscenza, senza interessi egoistici o ipocrisie; per amare in maniera gratuita, senza secondi fini ma cercando il bene dell’altro, con semplicità e sincerità, rinunciando a maschere e trucchi; per accarezzare con tenerezza, per toccare la carne di Gesù nei fratelli poveri, malati, disprezzati; per rialzare chi è caduto e sostenere chi vacilla; per andare incontro a chi non sa fare il primo passo, per camminare sui sentieri di chi è smarrito, per andare a trovare le persone sole”. Sono questi i gesti che ci richiede il Natale 2016. Facciamone almeno uno. Saremo felici noi e faremo felici gli altri!! Buon Natale!!