Cattedrale di Oristano, 25 dicembre 2017
Celebriamo con gioia la festa del Natale del Signore, ossia la discesa di Dio in terra. Questo evento che ha segnato l’intera storia umana ha conferito dignità e rispetto ad ogni uomo ed ogni donna. Dal giorno in cui Dio si è fatto uomo, ogni frammento di umanità contiene un pezzo di cielo.
Il cielo si è piegato sulla terra ed ha portato un raggio di eterno in ogni cuore, in ogni famiglia, in ogni società. I testi della Scrittura che sono stati proclamati ci descrivono questo straordinario evento con diverse accentuazioni. Il profeta Isaia mette in luce il fatto dell’universalità della salvezza, portata dalla discesa di Dio sulla terra. Veramente, Dio salva tutti gli uomini e tutte le donne d’ogni tempo e d’ogni luogo! Nessuno è escluso dall’offerta della salvezza. Si può incontrare Dio negli incroci delle strade come nell’intimo della coscienza d’ogni uomo. La lettera agli Ebrei descrive in qualche modo il ruolo del Figlio di Dio nella creazione del mondo, mentre l’inizio del Vangelo di S. Giovanni precisa la concretezza dell’evento dell’Incarnazione contro coloro che, secondo papa Francesco, “vorrebbero un Cristo puramente spirituale, senza carne e senza croce”.
Ora, papa Francesco ha scritto che “un Dio che nasce nomade - in una mangiatoia, accudito da due genitori profughi e da una folla di poveri - ha molto da dire agli uomini e alle donne del terzo millennio. Il Creatore diventato creatura adempie una grande promessa: spogliarsi della propria divinità per condividere in tutto e per tutto le sorti dell’umanità. Quando si parla di speranza – aggiunge papa Francesco -, spesso ci si riferisce a ciò che non è in potere dell’uomo e che non è visibile, ma il Natale ci parla di una speranza diversa, una speranza affidabile, visibile e comprensibile, perché fondata sulla vita di un uomo in carne e ossa, storicamente esistito: Gesù di Nazareth”. Nascendo a Betlemme, insegnando e operando miracoli nei villaggi della Galilea, affrontando e vincendo la morte con la sua risurrezione, Gesù è diventato nostro contemporaneo. Percorre con noi tutte le strade del mondo. Se lo riconosciamo e lo accogliamo nelle nostre case, nelle nostre famiglie, nel nostro cuore, Natale non sarà solo una data del calendario ma uno stile di vita evangelica, che crea speranza dove c’è la paura, e concede il perdono dove c’è il peccato.
Il Natale che celebriamo in quest’anno 2017 non è lo stesso dell’anno 2016. Non lo è prima di tutto a livello ecclesiale diocesano. L’estate scorsa, infatti, per motivi di natura ecclesiale e pastorale, ho dovuto provvedere a diversi trasferimenti di parroci, e, in alcune occasioni, questi hanno suscitato reazioni non sempre esemplari. Per incomprensione voluta o non voluta delle vere ragioni dei trasferimenti, si sono create tensioni e divisioni all’interno della comunità, che, con l’aiuto di tutti, bisogna ricomporre. Con i necessari accorpamenti di parrocchie sotto un unico parroco si devono cambiare abitudini di orari e luoghi di sante messe, e acquisire nuovi stili di collaborazione e corresponsabilità. Nel raggiungere questi obiettivi, non si deve dimenticare che il progetto di quest’anno richiede a tutti di approfondire la conoscenza personale di Gesù. E siccome la via maestra di questa conoscenza è la lettura del Vangelo, bisognerà trovare tutti i modi per favorire questa lettura con giornate della Bibbia, gruppi di ascolto, celebrazioni di liturgia della Parola, sia come parrocchia che come forania. Augurare un Natale di pace e di comunione, quindi, vuol dire chiedere a tutti, a seconda delle circostanze di luogo, di fare un passo avanti o un passo indietro, per vivere e operare uniti, dimostrando a se stessi e agli altri che è possibile gestire il cambiamento con intelligenza, fare del bene anche a chi ci ha fatto del male.
A livello di chiesa italiana e universale, assistiamo ad una polarizzazione di atteggiamenti di critica o di condivisione del magistero di Papa Francesco. I suoi gesti e i suoi insegnamenti vengono interpretati a seconda delle proprie convinzioni o delle proprie appartenenze associative. È vero che il papa propone spesso parabole originali di fede nelle omelie di Santa Marta, nelle catechesi dell’udienza generale, nelle conversazioni con giornalisti o con gruppi di sacerdoti e religiosi. Queste parabole rappresentano il suo genere preferito di comunicazione, tanto che un giornalista cattolico le ha definite “un magistero delle storie di vita, una teologia narrativa, una pedagogia del vissuto, una pastorale dell’incontro”. Molti critici, però, hanno ravvisato in questo suo modo di insegnare una mancanza di spessore teologico. Alcuni di loro lamentano che egli parla solo degli immigrati, dei poveri, dei musulmani. In realtà, Francesco invita a incontrare Gesù uscendo dai recinti sacri, dalle sagrestie delle Chiese, dal chiuso degli oratori, dalle sale dei convegni. Invita, cioè, a fare la teologia della vita. In un’omelia della Cappella Sistina, ha scritto una splendida pagina di teologia dell’incarnazione, dicendo che la prima predica di Gesù è stata il suo pianto di bambino nella stalla di Betlemme.
A livello sociale, sono ancora troppo insicuri i segni della ripresa economica, anche se la propaganda elettorale promette felicità e benessere a buon mercato, e vorrebbe far credere che la crisi è ormai passata. Purtroppo, vecchie e nuove povertà interpellano continuamente la nostra indifferenza e ci ricordano che i poveri non vivono lontano da noi, ma abitano nella porta accanto, aspettando di essere riconosciuti nel loro bisogno e rispettati nella loro dignità. A questo riguardo, risuonano sempre vere le provocazioni natalizie di Don Tonino Bello, le quali ci spingono ad uscire da una vita egoista, assurda, senza spinte verticali e ad iniziare una vita carica di donazione, di preghiera, di silenzio, di coraggio; ci spingono ad abbandonare l’irresponsabile tranquillità di chiudere gli occhi davanti alle tante ingiustizie che si consumano nel nostro territorio; ci spingono a recuperare il senso della storia e il desiderio profondo di vivere poveri che è l’unico modo per morire ricchi.
Cari fratelli e sorelle,
nella notte di Natale di circa duemila anni fa, gli angeli del cielo hanno cantato l’inno di pace per gli uomini amati da Dio. Ai nostri giorni, tanti angeli della terra portano una parola di conforto ed un aiuto spirituale e materiale ai senza pane e senz’affetto. Voi potete essere quegli angeli della terra, perché anche voi potete trovare le parole giuste della gioia e del perdono; anche voi potete portare lo spicciolo della vedova a chi fatica ad arrivare alla fine del mese. Se farete questo, sarà un Natale vero, perché la gioia sarà condivisa. Sarà un Natale cristiano, perché sarà condivisa nel nome di Gesù. Sarà un Natale senza data, perché l’amore di Dio non ha una data.