Cattedrale di Oristano, 9 novembre 2014
Siamo qui riuniti, questa sera, per invocare il dono dello Spirito che consacrerà la persona di Enrico Perlato per il servizio della Chiesa e del prossimo. In questa circostanza, il primo sentimento è quello della gratitudine al Signore, il padrone della vigna, perché manda un operaio alla Chiesa arborense da oltre i suoi confini geografici,
esattamente dalla Diocesi di Milano. Questo è un segno di benedizione particolare e di benevolenza divina, di cui non possiamo non essere grati al Signore. Dopo aver assicurato il sentimento di gratitudine al Signore, vogliamo lasciarci interpellare dalla sua Parola, che è stata poc’anzi proclamata, e che costituisce un programma di vita spirituale sia per il sacerdozio ministeriale di Enrico che per quello comune di tutti i fedeli.
Oggi, l’ordinazione sacra coincide con la festa liturgica della dedicazione della Basilica del Santissimo Salvatore, ossia di San Giovanni in Laterano, alla quale mi legano felici ricordi di servizio liturgico da seminarista e di celebrazioni ecclesiali da presbitero e docente. La basilica Lateranense è la prima per data e dignità di tutte le chiese d’occidente e fu anche la prima chiesa in assoluto ad essere pubblicamente consacrata. Per più di dieci secoli i papi ebbero la loro residenza nelle sue vicinanze e fra le sue mura si tennero duecentocinquanta concili, di cui cinque ecumenici. Come basilica e cattedrale di Roma essa è il primo segno esteriore della fede cristiana sul paganesimo occidentale, e della testimonianza dei numerosi martiri dei primi secoli. Allo stesso tempo, è anche simbolo eloquente del tempio spirituale che è il cuore dell’uomo.
Essa, così come ogni altro luogo di culto delle molteplici e diverse tradizioni religiose, evidenzia anzitutto il fatto che anche i cristiani riconoscono un luogo fisico come spazio sacro. Ma c’è una particolarità che diversifica lo spazio sacro della chiesa cristiana da qualsiasi altro spazio sacro. Ciò che noi comunemente chiamiamo chiesa per designare questo spazio sacro o questo edificio di culto, nei primissimi tempi della cristianità, era indicata come Domus Ecclesiae, ossia Casa della Chiesa. Con tale distinzione e denominazione si intendeva dire che quella era una casa dove si riuniva la Chiesa di Dio, cioè il luogo della riunione dell’assemblea di coloro che sono battezzati in Cristo. In altri termini, la Chiesa è una comunità di persone prima ancora che un edificio materiale. Il Tempio di Gerusalemme, quello che frequentava anche Gesù, costituiva lo spazio sacro per la presenza di Dio. Ora, però, la presenza di Dio non la si doveva cercare più nel Tempio, ma nella persona stessa di Cristo, vero Dio e vero uomo. Gesù afferma, infatti, per un verso, che il tempio è “la casa del Padre suo”, ma, per un altro verso, parla di un nuovo tempio, del tempio del suo corpo, che può essere distrutto e fatto risorgere in tre giorni. Perciò, la sua presenza nel mondo, come il Cristo risorto dai morti, continuerà ancora dopo la sua ascensione in cielo. Egli, infatti, è salito in cielo ma ha lasciato sulla terra il suo corpo, la Chiesa, l’unità di coloro che lo riconoscono Signore e gli aderiscono. San Paolo ci ricorda questa realtà e ripete a ognuno di noi, come già ai cristiani di Corinto, che siamo “edificio di Dio”, “tempio di Dio.” Dunque, noi siamo Chiesa; noi siamo Tempio di Dio. Noi cristiani dobbiamo custodire e manifestare la presenza di Dio nel mondo.
Ma come diveniamo tempio di Dio? La risposta la troviamo nella grandiosa immagine del profeta Ezechiele. Egli vede una sorgente che, scorrendo dal lato destro del tempio, diventa un grande fiume navigabile, che, dovunque arriva, fa rivivere tutto (Ez 47, 9). Quale acqua mai sarà quella che esce dal lato destro del tempio? Se il tempio è Gesù stesso, è chiaro che l’acqua che esce dal tempio rappresenta simbolicamente i sacramenti, i canali della grazia che danno luogo alla sua Chiesa. Là dove arriva l’acqua dei sacramenti risana tutto, proprio come tutti sanava Cristo, quando passava sulla terra, scacciando i demoni e guarendo i malati.
Caro Enrico,
la consacrazione che ricevi oggi ti pone a servizio di questa Chiesa, Corpo di Cristo, sorgente di vita, di conforto, di speranza, per ogni uomo e ogni donna che la riconosce come Madre e Maestra. Questa Chiesa è “la vigna del Signore, la Madre fertile e la Maestra premurosa, che non ha paura di rimboccarsi le maniche per versare l’olio e il vino sulle ferite degli uomini (cfr. Lc 10, 25-37); che non guarda l’umanità da un castello di vetro per giudicare o classificare le persone … È la Chiesa che non ha paura di mangiare e di bere con le prostitute e i pubblicani (cfr. Lc 15). La Chiesa che ha le porte spalancate per ricevere i bisognosi, i pentiti e non solo i giusti o coloro che credono di essere perfetti! La Chiesa che non si vergogna del fratello caduto e non fa finta di non vederlo, anzi si sente coinvolta e quasi obbligata a rialzarlo e a incoraggiarlo a riprendere il cammino e lo accompagna verso l'incontro definitivo, con il suo Sposo, nella Gerusalemme Celeste.” (Papa Francesco)
In quanto “ministro della Parola” (cfr. Lc 1, 2), quando predichi il Vangelo del Regno, aprirai spazi di libertà e responsabilità, non imponendo leggi e precetti, che rendono schiavi, o avanzando minacce, che creano paura e disorientamento; eviterai di ridurre la Chiesa ad un’agenzia di morale, una istituzione umanitaria, una centrale di problematiche sociali. Le dimensioni vere della Chiesa rimangono la Liturgia, la Parola, la Carità.
Tra breve sarai consacrato per il ministero della Parola, della Grazia, della Misericordia. Il tuo sacerdozio nasce sotto la protezione di nuovi testimoni di santità, annoverati tra i beati da papa Francesco due giorni fa. Uno di questi è Silvio Dissegna, un ragazzo dodicenne di Moncalieri, che, da grande avrebbe voluto fare l'insegnante, ma a 11 anni è stato colpito da un cancro alle ossa, e ha offerto tutte le sofferenze per i sacerdoti e i missionari. È morto a 12 anni. Un secondo testimone di santità è P. Raimondo Calcagno, della Congregazione dell'Oratorio di San Filippo, nato a Chioggia da una famiglia di poveri pescatori, il quale, diventato sacerdote, ha speso tutta la sua vita come educatore di giovani, soprattutto dei più poveri. All’intercessione di questi testimoni di santità, poi, mi permetto di aggiungere la presenza spirituale del tuo amico Paolo Baroli, che dal letto dell’ospedale delle Molinette, prega per te e per i sacerdoti della nostra Chiesa arborense. I santi ti proteggono dall’alto dei cieli. Noi, come comunità di artigiani di speranza e pellegrini di fede, ti accompagniamo dalle vie tortuose della terra. Colui che, però, unico mediatore, ha unito il cielo alla terra, dirigerà il tuo e i nostri passi sulla via della pace e della salvezza