Parrocchia Sacro Cuore, Cabras 13 aprile 2013
La liturgia della Parola che illumina il nostro rito di ordinazione descrive la vita della Chiesa dopo la Pasqua di Gesù, nei suoi aspetti ordinari e nel suo confronto drammatico con il mondo religioso del giudaismo. L’evangelista Giovanni ci informa anzitutto sulla ripresa del lavoro ordinario dei discepoli, dopo gli eventi della morte e della risurrezione di Gesù.
Essi ritornano in mare e riprendono l’attività della pesca. Sono probabilmente soci d’una cooperativa e devono darsi da fare per vivere con sicurezza e dignità. Apparentemente, il loro discepolato con Gesù non ha giovato molto dal punto di vista economico. Non hanno conquistato posti di potere, come speravano in un primo tempo. Devono tornare alla fatica di tutti i giorni e di tutte le notti. In quella notte, dice il Vangelo, non presero nulla, pur avendo essi lavorato con i loro mezzi e ritmi usuali. Solo quando all’alba compare Gesù e li invita a gettare la rete, ossia ad accettare la sua presenza e la sua collaborazione, la pesca diventa abbondante. È la dimostrazione chiara che Dio ha bisogno degli uomini così come anche gli uomini hanno bisogno di Dio. Papa Francesco, parlando ai diplomatici accreditati presso la Santa Sede disse che la pace e la povertà del mondo non si possono risolvere senza la religione, che non si possono costruire ponti fra gli uomini senza Dio, ma anche che la religione senza l’unione degli uomini e senza la loro collaborazione è vuota. Quando Gesù, nel suo ministero terreno, dovette sfamare la folla richiese la collaborazione dei discepoli e disse loro: “date loro voi stessi da mangiare” (Mt 14, 16). La collaborazione della potenza di Gesù con la debolezza dei discepoli rese possibile dare da mangiare a una moltitudine di persone con cinque pani e due pesci, gli stessi ingredienti del pasto con Gesù lungo la riva del lago.
In questa vita della Chiesa dopo la Pasqua, ora, i discepoli sperimentano le persecuzioni e le prime contrarietà sia del mondo esterno, sia soprattutto del mondo giudaico interno, ad opera del sinedrio e del sommo sacerdote. Inizia, così, da subito, lo scontro dell’annuncio cristiano che in seguito, lungo i secoli, si verificherà con le tradizioni culturali, le convinzioni filosofiche e esistenziali, i programmi politici ed economici che vanno nella direzione opposta della visione cristiana dell’uomo, della vita, della famiglia, della libertà. San Pietro, in questa circostanza, dà prova di fedeltà e coraggio. Non è più il discepolo impaurito del giorno del processo a Gesù davanti a Caifa, quando egli, provocato dalla serva, rinnega il Maestro per tre volte. È ormai l’apostolo trasformato dalla potenza dello Spirito e professa apertamente che: “bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini” (At 5, 29). Questa obbedienza a Dio davanti alle minacce degli uomini è stata imitata dai martiri di tutti i tempi che hanno affrontano persecuzioni, torture, sacrificio della vita. Anche il nostro tempo è illuminato dalla testimonianza di martiri coraggiosi, come don Pino Puglisi che sarà beatificato nel maggio prossimo, il giudice Rosario Livatino, Mons. Oscar Romero, di cui è in corso il processo di beatificazione. Veramente, lo Spirito Santo, secondo l’assicurazione di Gesù, ha assistito i suoi discepoli e ha dato loro la forza di affrontare a testa alta i tribunali del mondo (cfr. Lc 12, 12).
L’Apocalisse ci presenta Gesù come l’Agnello immolato, a cui si deve lode, onore, gloria, potenza (Ap 5, 13). In altri termini, il testo sacro mostra la continuità tra il sacrifico della croce e la gloria della risurrezione. Per Gesù, come per il cristiano, non c’è morte senza risurrezione, perché il cristianesimo non è la religione del venerdì santo, ossia della vittoria del male e della violenza, ma della domenica di risurrezione. Ma non c’è neppure risurrezione senza morte, ossia senza il passaggio obbligato della morte e della crocifissione. Il cuore della liturgia che celebriamo e viviamo è il mistero pasquale, cioè il mistero della passione, morte e risurrezione di Gesù Cristo. Anche questa verità è stata ricordata dai primi gesti di papa Francesco. Nella sua prima omelia nella Cappella Sistina, ha detto chiaramente che il cuore del nostro annuncio è Gesù Cristo e Gesù Cristo crocifisso. Domenica scorsa, 7 aprile, ha abbandonato la ferula utilizzata da Benedetto XVI, simbolo del ministero petrino, e ripreso il pastorale del Concilio di Paolo VI, con la croce e Gesù Crocifisso. Con questi gesti Francesco ha riproposto la convinzione acquisita dall’Apostolo Paolo dopo la sua esperienza di predicazione fallimentare all’areopago di Atene. In seguito a quell’esperienza, che, peraltro non fu del tutto negativa, perché “alcuni aderirono a lui e divennero credenti, fra questi anche Dionigi membro dell’Areopago, una donna di nome Damaris e altri con loro” (At 17, 34), egli si ripromise di non cercare più inutili mediazioni con la cultura del tempo, ma di annunciare Cristo e Cristo crocifisso, scandalo per i giudei e follia per i pagani (1Cor 1, 23).
Cari fratelli e sorelle,
auguriamo ogni bene al futuro ministero sacerdotale di don Maurizio con l’ardito paragone che papa Francesco ha utilizzato per descrivere la figura del sacerdote. Ha detto che il sacerdote deve odorare di pecora, per indicare che il sacerdote non può vivere separato dal suo gregge, cioè dalla sua gente, ma ne deve condividere tutto, gioie e dolori, problemi e speranze. Il suo altare è tra la gente e per la gente. Senza il contatto con la gente, l’offerta portata all’altare è vuota. Le mani del sacerdote portano all’altare la riconoscenza di tanti giovani che ritrovano il senso della vita, la rassegnazione di tanti malati che affrontano con coraggio la sofferenza, la pace di tante famiglie che riscoprono la bellezza della fedeltà e la sacralità della vita.
Con questo stile di condivisione, secondo il papa, don Maurizio è chiamato a imitare Gesù “che ha vissuto le realtà quotidiane della gente più comune: si è commosso davanti alla folla che sembrava un gregge senza pastore; ha pianto davanti alla sofferenza di Marta e Maria per la morte del fratello Lazzaro; ha chiamato un pubblicano come suo discepolo; ha subito anche il tradimento di un amico. In Lui Dio ci ha dato la certezza che è con noi, in mezzo a noi”.
“Seguire, accompagnare Cristo, rimanere con Lui, precisa il papa, esige un "uscire". Uscire da se stessi, da un modo di vivere la fede stanco e abitudinario, dalla tentazione di chiudersi nei propri schemi che finiscono per chiudere l’orizzonte dell’azione creativa di Dio. Dio è uscito da se stesso per venire in mezzo a noi, ha posto la sua tenda tra noi per portarci la sua misericordia che salva e dona speranza. Anche noi, se vogliamo seguirlo e rimanere con Lui, non dobbiamo accontentarci di restare nel recinto delle novantanove pecore, dobbiamo "uscire", cercare con Lui la pecorella smarrita, quella più lontana”.
Accompagniamo con la preghiera e la simpatia questo augurio a don Maurizio e imploriamo la benedizione del Signore e della Madre di Gesù sul suo ministero di verità e carità, di misericordia e tenerezza.