Parrocchia di Tonara, 6 aprile 2013
Ci mettiamo in ascolto della Parola di Dio, che, con sapienza divina, ci illumina su come vivere bene un evento di grazia, quale è l’ordinazione sacerdotale di un giovane di questa comunità parrocchiale. Il Signore, infatti, ci parla con gli eventi. Tutta la storia della salvezza è un intreccio di eventi, con i quali Dio interviene per aiutare,
confortare, guarire, perdonare, riabilitare moralmente. Il contesto ecclesiale di questo evento di grazia è costituito da una serie di cerchi concentrici, che ci avvolgono con messaggi di spiritualità molto significativi.
Il primo cerchio, molto largo, è la celebrazione dell’anno della fede, indetto da Benedetto XVI, a cinquant’anni dall’inizio del concilio ecumenico vaticano II. Con questa celebrazione, Benedetto XVI ha invitato ognuno di noi a riflettere sul proprio essere cristiano e sul dovere di testimoniarlo con scelte concrete di vita. A questo proposito, il Vescovo emerito di Roma ha più volte ribadito che all’origine del nostro cristianesimo non c’è una ideologia o un programma politico, ma l’incontro con una persona, l’incontro con Gesù Cristo, Figlio di Dio. Chi ha veramente incontrato Gesù Cristo nella propria vita ha sperimentato un cambiamento interiore; ha trovato un senso per vivere bene, felice, in pace con Dio, con se stesso, con il prossimo. Molti atteggiamenti di divi dello sport e della musica, programmi politici e economici, diverse campagne pubblicitarie, propongono un modello di uomo che vale più per quello che produce e quello che consuma che non per quello che è. Chi ha incontrato Cristo trova la forza per reagire a questi modelli, conservare le tradizioni di solidarietà, coltivare i sentimenti di amicizia, affrontare con cristiana rassegnazione il dolore e la prova. Una società senza anima spirituale prima o dopo si disintegra per debolezza interna, e crolla come quei castelli di sabbia costruiti dai sogni dei bambini. Per evitare che la società in cui viviamo si autodistrugga ognuno di noi deve dare il suo contributo di preghiera e di azione. Non basta custodire con cura l’ambiente, bisogna custodire anche l’uomo, l’unica creatura che Dio ha voluto per se stessa (GS, 34).
Il secondo cerchio, meno largo del primo, è costituito dalla parrocchia di questo paese, retta in questi ultimi anni da due sacerdoti che provengono da un’esperienza pastorale in America Latina, lo stesso Continente da cui proviene papa Francesco: don Giovanni Maccioni, che ha lavorato in Perù e don Giovanni Cuccui, che ha lavorato in Brasile. Questa coincidenza provvidenziale dà un respiro missionario alla comunità di Tonara e alla comunità diocesana, e le mette in contatto diretto con la Chiesa latinoamericana, ricca di entusiasmo, speranza, attenzione agli ultimi e ai poveri. Abbiamo bisogno di slancio missionario per andare oltre le beghe paesane, allargare gli orizzonti sui bisogni materiali e spirituali di tante popolazioni, povere di mezzi ma ricche di sentimenti; apprezzare la religiosità e lo spirito di fede di tante persone che ci insegnano a vivere con felicità tutte le stagioni della vita. Una finestra su questo patrimonio di umanità ci fa recuperare la passione per il cielo senza dimenticare la terra.
Il terzo cerchio, molto ristretto, è costituito dagli studi di liturgia che don Omar sta portando a termine in una Facoltà Teologica Romana. Questi studi richiamano l’importanza della liturgia per la vita della comunità parrocchiale e diocesana. La liturgia, infatti, è la fonte e il culmine della vita della Chiesa (SC, 10). Come Diocesi, abbiamo dedicato un anno intero per riflettere che bisogna passare dalla celebrazione del rito alla celebrazione della vita; passare da una Eucaristia celebrata a una Eucaristia vissuta; passare da una Eucaristia del precetto pasquale e della festa patronale a un’Eucaristia del giorno del Signore, come giorno della preghiera e della carità. Siamo felici che don Omar ponga il suo ministero sacerdotale a servizio della celebrazione del mistero pasquale di Cristo, che rafforza la vita dei fedeli nell’ora della gioia e del dolore, della nascita e della morte, della salute e della malattia.
Sul contesto ecclesiale di questi cerchi concentrici, ora, si proietta la luce della Parola di Dio che anima la liturgia di questa domenica dopo Pasqua. Nel racconto del Vangelo, le parole immediate sono quelle di Gesù a Tommaso, che diviene il rappresentante dei discepoli di tutte le generazioni, chiamati a credere pur senza vedere, e di Tommaso a Gesù, che diventano la formula di fede più bella e più vera (Gv 20, 28). In effetti, in questo dialogo di Gesù con Tommaso troviamo riassunte le coordinate d’una vita di fede autentica. Gesù chiama beati tutti quelli che crederanno nella sua Persona e nella sua risurrezione, e Tommaso pone la sua vita nelle mani di Gesù.
Un dialogo di memoria e profezia che esalta la necessità e la modalità dell’esperienza di Dio. Penso che la missione più urgente del sacerdote oggi sia quella di portare gli uomini ad una profonda esperienza di Dio. Per questa missione, le parole non bastano più. Sono necessari dei gesti, come quelli di papa Francesco, che generano fiducia, simpatia, speranza. È necessaria soprattutto la testimonianza della propria esperienza di Dio, come quella proclamata dagli apostoli Pietro e Giovanni davanti agli scribi e agli anziani di Gerusalemme: “Noi non possiamo tacere quello che abbiamo visto e ascoltato” (At 4, 20). Il sacerdote insegna non solo con quello che dice, ma anche con quello che fa e quello che è.
Papa Francesco ha indicato nella misericordia e nella tenerezza la via maestra di come portare gli uomini a una autentica esperienza di Dio. Ogni uomo e ogni donna hanno bisogno, nella vita, di misericordia e di tenerezza. La misericordia e la tenerezza salvano i rapporti interpersonali e danno un’anima ai doveri professionali. Conducono alla preghiera e all’incontro con Dio. Chi cerca Dio, infatti, non lo cerca per essere giudicato e condannato da Lui. Lo cerca per essere accolto, per essere perdonato dai suoi peccati, redento dalle sue delusioni. Lo cerca forse oggi più di ieri, perché sente un grande bisogno di interiorità, di spiritualità. La tecnica e la rete sicuramente favoriscono la diffusione di notizie in tempo reale, ma spesso creano anche solitudine, concorrenza, conflitti identitari. Abbondano i linguaggi ma questi non aumentano la comunicazione. La vera comunicazione è fatta di gesti concreti d’amore. Il sacerdote deve annunciare il Vangelo di Gesù e creare rapporti di amicizia con questi gesti. Secondo Paolo VI, “una corrente di affetto e di ammirazione si è riversata dal Concilio sul mondo umano moderno. Riprovati gli errori, sì; perché ciò esige la carità, non meno che la verità; ma per le persone solo richiamo, rispetto ed amore. Invece di deprimenti diagnosi, incoraggianti rimedi; invece di funesti presagi, messaggi di fiducia sono partiti dal Concilio verso il mondo contemporaneo: i suoi valori sono stati non solo rispettati, ma onorati, i suoi sforzi sostenuti, le sue aspirazioni purificate e benedette” (7 dicembre 1965).
Cari fratelli e sorelle,
auguriamo a don Omar di essere sempre un sacerdote che custodisce con amore le virtù cristiane e umane di tutti coloro che incontra nel suo ministero di misericordia. Accompagniamolo con la preghiera, perché non si senta mai solo. Imploriamo sulla sua persona la potenza dello Spirito, perché lo consacri a presentare le domande degli uomini a Dio e portare le risposte di Dio agli uomini; a gettare ponti di speranza e di perdono tra la terra e il cielo; ad annunciare al mondo che “Dio è buono verso tutti e la sua tenerezza si spande su tutte le creature” (Sal 145, 9)