Cattedrale di Oristano, 2 febbraio 2007
La Parola di Dio che accompagna la celebrazione liturgica del memoriale della presentazione del Signore getta una ricca luce di senso sul ruolo della vita consacrata nella comunità ecclesiale e in quella civile.
Di questa ricca luce vorrei cogliere un raggio e, nell’ambito di questa breve omelia, vorrei invitarvi a riflettere insieme sul significato profondo che nasconde il mistero della presentazione al tempio di Gesù Bambino. A ben vedere, l’episodio narrato da S. Luca rivela innanzitutto la natura e la ragione stessa dell’incarnazione del Figlio di Dio. In verità, ci si potrebbe chiedere che bisogno ci fosse da parte di Gesù di sottoporsi a questa osservanza della legge giudaica, se Egli era Dio, se Egli era la seconda persona della Trinità. A chi doveva consacrarsi, se Egli era Dio, e, in quanto tale, godeva della comunione trinitaria? I suoi genitori, Maria e Giuseppe, dovevano avere una qualche percezione che egli fosse Dio, o per lo meno, che egli fosse un bambino diverso da tutti gli altri bambini, perché erano sicuramente coscienti di essere protagonisti di un evento soprannaturale. In ultima analisi, Maria sapeva direttamente dall’angelo del Signore di essere stata chiamata a diventare madre, di essere stata chiamata a collaborare ad un evento che si sarebbe verificato senza il concorso di cause umane. Se nonostante tutto questo, Gesù, nella sua umanità, si è sottoposto alla legge cultuale del suo tempo, ci deve essere una ragione di fondo. E la ragione di fondo è che Dio ha preso sul serio la sorte dell’uomo. Dio, in Gesù, si è veramente spogliato delle sue prerogative, si è veramente umiliato, non ha fatto finta di essere uomo, ma lo è diventato realmente, per salvare l’uomo dalla morte e dal peccato
Il diventare uomo di Dio, per far diventare dio l’uomo, non è un evento limitato a qualche momento della vita umana, ma si estende a tutti i suoi momenti. Gesù, nella sua condivisione totale della nostra umanità, non si sottrae a nessuna legge di questa umanità, comprese quelle cultuali, per quanto la sua persona inaugurasse il superamento del culto esteriore. Il suo dialogo con la Samaritana al pozzo di Giacobbe aveva messo in chiaro che dopo l’evento della sua incarnazione si sarebbe adorato Dio in spirito e verità. Non si sarebbero più consacrati luoghi, alberi, colli, istituzioni, ma si sarebbe consacrato l’uomo, la sua vita, i suoi progetti, il suo lavoro, le sue speranze e le sue delusioni.
L’incarnazione del Figlio di Dio, ossia l’inserimento di Gesù nella storia degli uomini, non era fine a se stessa. Gesù è disceso dal cielo propter nos homines et propter nostram salutem. Per cui, ogni momento della vita umana, ogni sua stagione, ogni occupazione e professione, ogni dolore e gioia, è diventata storia di salvezza, e rappresenta un’opportunità di grazia. Dio, attraverso l’evento dell’incarnazione, ha santificato l’umanità intera, ha santificato tutto l’uomo, nel suo spirito e nel suo corpo, ha santificato il mondo in tutte le sue realtà. Gesù è diventato uomo per salvare l’uomo, per difendere il progetto divino iniziale, quello della creazione di un uomo chiamato a vivere in comunione con Dio. È diventato uomo per ricollegare il filo della comunione tra Dio e l’uomo, interrotto dal peccato. In breve, Dio è sceso in terra per portare l’uomo nel cielo. L’incarnazione del Figlio di Dio ha rappresentato, secondo i Padri della Chiesa, un duplice cammino, simboleggiato molto bene dalla scala di Giacobbe sulla quale scendevano e salivano degli angeli. Gli angeli scendevano per avvicinare Dio all’uomo e salivano per avvicinare l’uomo a Dio. Essi rappresentavano e rappresentano quel particolare rapporto di reciprocità, che, nel vangelo odierno, è evocato molto bene dalla figura del vecchio Simeone. L’antifona ai primi vespri della festa della descrive così questa reciprocità: “il vecchio portava il bambino e il bambino sosteneva il vecchio”. Quale singolare incontro della divinità con l’umanità, dell’eterno con il tempo, del cielo con la terra! Il vecchio Simeone rappresenta il cammino dell’uomo a Dio, la ricerca di Dio da parte di tutta la sapienza umana. Il ogni stagione della vita, ogni progresso di civiltà. La ricerca divina dell’uomo prima che azione della mente umana, è un’esigenza dello spirito. Vivere, per S. Agostino, è cercare Dio.
L’episodio evangelico rivela anche un altro aspetto dell’incarnazione, rappresentato dalla profezia di Simeone sulla sorte di Gesù, una sorte di rovina e di risurrezione, nella quale è rimasta coinvolta anche sua madre, perché lei ha condiviso la sorte del Figlio, dal momento della nascita nell’umiltà di una grotta sino al momento della tragica morte in croce. Questa profezia mette in chiaro che l’incontro di Gesù richiede sempre una scelta, e che questa scelta molto spesso richiede separazione. I consacrati hanno fatto una scelta per Gesù con piena gioia e consapevolezza di rinuncia ad affetti, di separazione da luoghi, di superamento di valori mondani. La processione con i ceri accesi evidenzia e simboleggia questo andare incontro a Gesù, luce vera che illumina ogni uomo che viene in questo mondo. La luce di Gesù ha illuminato la sincerità della scelta e continua a illuminare la costanza della consacrazione.
Il mondo ha bisogno della vita consacrata, cioè di persone che facciano sentire la nostalgia del cielo, la bellezza di una dedizione totale alla causa del Regno, il senso di una esistenza scandita dai ritmi della preghiera. Ha bisogno di persone che offrono gratuità dove c’è mercantilismo, vivono la purezza dove c’è corruzione, abbracciano la povertà dove c’è ricchezza, testimoniano speranza dove c’è disperazione. Il mondo ha bisogno di donne e di uomini che vivono la loro consacrazione anche nella secolarità. Questa caratteristica della loro consacrazione non sminuisce l’importanza di quanto compiono, perché non vi è differenza, per chi offre la vita a Dio e al prossimo, tra il tempio e la casa. Maria e Giuseppe continuano l’offerta fatta a Gerusalemme nella quotidianità di Nazareth, scandita dagli affetti, dalla preghiera, dal servizio al loro figlio e dal lavoro.
I vescovi italiani riconoscono e incoraggiano in modo particolare “l’opera di tutti quei consacrati che si offrono instancabilmente al servizio delle famiglie del nostro Paese: nell’attenzione ai bambini e ai ragazzi nei vari contesti scolastici ed educativi; nell’accompagnamento ai giovani nelle parrocchie e nelle diverse realtà pastorali; nell’assistenza agli ammalati negli ospedali, nelle cliniche e negli hospice; nel sostegno agli anziani negli istituti, e così via. Si sa quanto significativa sia la professionalità e importante la testimonianza che i consacrati sanno profondere in questi ambienti e non si può che auspicare che esse divengano sempre più qualificate e nel contempo sostenute da forti motivazioni di fede. È infatti spesso nei luoghi in cui i consacrati operano, e attraverso di loro, che gli uomini e le donne del nostro tempo trovano l’occasione opportuna di incontrare un segno della presenza cristiana. I consacrati che sono chiamati a stare nel “tempio”, scandiscono la loro giornata con la preghiera della Chiesa, per essere così capaci di accorgersi della presenza di Dio nell’oggi. Vivendo pienamente le attese e le domande della nostra società, riescono però anche ad annunciare che, in questo mondo che cambia così freneticamente e che perde spesso i suoi punti fermi di riferimento, la salvezza è ancora presente e viene da Dio attraverso il suo Figlio”.
In buona sostanza, la vita consacrata manifesta al mondo che la santità è possibile, che la santità è umana. È possibile, perché viene vissuta da tante donne e tanti uomini che testimoniano molteplicità e ricchezza di carismi, a seconda dei tempi e delle esigenze di carità, di formazione, di assistenza sociale, di preghiera, di contemplazione. È umana perché le donne e gli uomini che si consacrano a Dio non rinnegano la gioia della vita, ma amano Dio senza dimenticare il prossimo.
Care consacrate e consacrati,
in comunione con i vescovi italiani, vi auguro di conservare, nel vostro servizio alla Chiesa arborense, la certezza che l’offerta della vita è un dono prezioso gradito a Dio e a tutta la nostra comunità ecclesiale.