Giornata della vita consacrata

Cattedrale di Oristano, 2 febbraio 2008

Vorrei invitarvi a fare una breve riflessione sui personaggi del vangelo di oggi: Simeone, Anna, i genitori di Gesù, Gesù stesso. Di Simeone si dice che era uomo giusto, timorato di Dio, che aspettava il conforto di Israele, che lo Spirito era su di lui.

Anna è una vedova di 84 anni, profetessa del tempio. Di lei si dice che non si allontanava mai dal tempio e che serviva Dio notte e giorno con digiuni e preghiere. Dei genitori di Gesù, Maria e Giuseppe, si riferisce che si stupiscono delle cose che si dicono del proprio figlio. Di Gesù si dice che cresceva e si fortificava, era pieno di sapienza, la grazia di Dio era sopra di lui.

Questi personaggi, nella scena descritta dall’evangelista, interpretano diversi ruoli, ma ognuno di essi riflette un raggio della sapienza divina, che guida la storia del mondo e degli uomini. Apparentemente, in questa scena, assistiamo all’adempimento di un rituale ordinario, la presentazione del bambino Gesù al tempio per offrirlo al Signore. Questo rituale era previsto dalla tradizione cultuale giudaica, e viene fedelmente osservato dai genitori di Gesù. Di fatto, siamo di fronte ad un inserimento di Gesù nella storia della sua gente, del suo popolo; di fronte, cioè, ad una concretizzazione del mistero dell’incarnazione del Figlio di Dio. Incarnazione, infatti, significa anche che il Figlio di Dio assume riti e tradizioni propri del popolo, si unisce ai fedeli che frequentano il tempio, adempie i doveri quotidiani, affronta gli imprevisti della vita

Ci possiamo chiedere, ora: quali utili ispirazioni per la vita consacrata possiamo trovare in questi personaggi evangelici? In quale dei loro atteggiamenti risalta maggiormente lo stile di vita della consacrazione al Signore?

Nella scena descritta domina chiaramente il vecchio Simeone, di cui si dice anzitutto che è giusto. La stessa qualifica di giusto è stata applicata, fra gli altri, ad Abele, a Noè, a Giuseppe. Giusto è colui che crede nel Signore, che si lascia salvare da Lui, che adempie i suoi precetti e la sua volontà. Giusto è colui che, come Abele, che rappresenta tutti gli uomini retti dell’umanità, non vendica le violenze gratuite che subisce e che gridano vendetta al cospetto di Dio; come Noè, che, nel tempo dell’ira, è diventato riconciliazione; come Giuseppe, che, di fronte al turbamento della sua coscienza, si fida dell’angelo e obbedisce al suo comando. Giusti sono stati dichiarati gli uomini e le donne che hanno salvato gli ebrei votati allo sterminio, e a cui è stata dedicata una pianta o un fiore nel giardino della memoria. Di Simeone si dice inoltre che è timorato di Dio. Come ben sapete, la Scrittura riconosce che il timore di Dio è il principio della sapienza. Ovviamente, il timore di Dio non significa paura di un suo castigo, ma obbedienza alla sua volontà. In altri termini, il timorato di Dio ha timore di non amare abbastanza, di non ringraziare abbastanza, di non sperare abbastanza, di non fidarsi abbastanza. La sapienza divina dà occhi di cielo per guardare le cose della terra, dà orecchie soprannaturali per distinguere le voci dello Spirito dalle voci della carne.

Di Simeone si dice ancora che aspettava il conforto di Israele. Aspettare il conforto di Israele significa credere, come Abramo, che Dio è fedele, nonostante il tradimento del popolo; che Dio porta a compimento la sua opera, nonostante la stanchezza e la sfiducia del popolo che si affida ad altri dei; che Dio sarà adorato in spirito e verità, nonostante si moltiplichino i vitelli d’oro e le prostituzioni alle varie divinità della terra. La salvezza verrà dai giudei, aveva detto Gesù nel suo dialogo con la samaritana, cioè con una donna straniera. I giudei di oggi, ossia i mediatori della salvezza, sono gli africani, i rumeni, i sudamericani che vengono da lontano per evangelizzare la nostra gente e prendersi cura dei nostri bambini, dei nostri giovani, dei nostri malati, dei nostri vecchi. Infine, di Simeone si dice che lo Spirito era su di lui. Ciò sta a significare che egli si lasciava guidare dallo Spirito, quello stesso che aleggiava sulle acque all’inizio della creazione, che scende su Gesù per consacrarlo Messia e dichiararlo Figlio prediletto del Padre, che adombra Maria per renderla madre di Dio, che scende sugli apostoli per renderli padri delle nuove generazioni cristiane. Lo Spirito è vita, è amore, è futuro. Coloro che si lasciano guidare dalla Spirito, hanno vita, generano amore, creano futuro.

Anna è la profetessa che dedica la sua vita al servizio del tempio, che prega e digiuna per quelli che non pregano e non digiunano, è la sentinella di Dio, umile, nascosta, non gratificata dalla ribalta delle cerimonie, custode dei sentimenti di fiducia, di mistero, di attesa. In qualche modo, essa rappresenta tutte le persone che dedicano tempo e pazienza a garantire il decoro della casa di Dio, che non saranno mai ringraziate dai celebranti delle liturgie, perché invisibili agli occhi della gente, testimoni di silenzio e di intimità divina.

Di particolare significato è lo stupore dei genitori di Gesù. Essi si trovano ancora all’inizio della rivelazione della sua vera identità. Finora, hanno parlato di Gesù le profezie, gli eventi esterni, le persone estranee, i pastori, i magi. Gesù non ha ancora iniziato il suo ministero pubblico, non ha ancora compiuto i miracoli che lo accreditano come Figlio di Dio. La loro fede, quindi, cresce con la fede di Gesù, la loro sottomissione al piano divino cresce con la sottomissione di Gesù. Questi ricorda loro che egli si deve occupare delle cose del Padre suo, che non è ancora giunta la sua ora, che sono suoi familiari coloro che ascoltano la Parola di Dio e la mettono in pratica. La reazione di Maria e Giuseppe illumina in qualche modo il nostro stupore di fronte alle meraviglie che opera il Signore, alla grandezza dei santi, alla conversione delle coscienze, all’irruzione della grazia divina nella vita dei peccatori. I genitori di Gesù illuminano anche la vocazione alla vita consacrata, perché evocano la capacità di stupirsi davanti alla bellezza della chiamata di Dio. Il loro atteggiamento insegna a non affrettare i tempi di Dio ma ad attenderli nello spirito della fede.

Cari amici e testimoni di radicalità evangelica, quale messaggio spirituale volete dare alla nostra gente? Penso ve lo suggerisca la recente enciclica di Benedetto XVI sulla speranza. Il papa invita i cristiani a testimoniare la fede nell’esistenza della vita eterna. Dopo la morte non c’è il nulla. Dio è il fine ultimo di ogni uomo. Egli è il paradiso per coloro che lo guadagnano, è inferno per coloro che lo perdono, è giudizio per coloro che sono esaminati dalla sua volontà, è purgatorio per coloro che si lasciano purificare dalla sua presenza. I religiosi oggi sono chiamati ad essere profeti e testimoni di questa vita eterna, intesa come piena comunione con Dio. Sappiamo che la vita eterna non può essere fotografata, può essere solo testimoniata con lo stile di una vita di fede e di speranza. Non esistono dei corrispondenti che ci raccontino come e dove sia il paradiso, ma esistono delle persone che ci assicurano che il paradiso esiste. Così come esistono delle persone che, purtroppo, ci dicono che l’inferno c’è. Dove non c’è amore, dove non c’è speranza, c’è l’inferno. I religiosi sono chiamati a piegare il cielo sulla terra e ad essere estremisti di speranza con la testimonianza della povertà, della verginità, dell’obbedienza per il Regno di Dio. Le scelte evangeliche testimoniate dai differenti carismi delle famiglie religiose non sono immediatamente comprensibili alla ragione umana, ma sono terribilmente eloquenti nella loro esemplarità. Il messaggio di Madre Teresa di Calcutta non ha bisogno di essere tradotto in alcuna lingua moderna, per essere capito. Esso è fatto di gesti concreti di carità, che sono capiti da credenti e non credenti, da piccoli e grandi, da buoni e cattivi.

Oggi, ci ricorda il papa, la nostra speranza è insidiata da molte parti e rischiamo di ridiventare anche noi, come gli antichi pagani, uomini "senza speranza e senza Dio in questo mondo", come scriveva l'apostolo Paolo ai cristiani di Efeso (Ef 2, 12). Il papa, perciò, invita a porre in Dio la nostra speranza. Solo Lui è la speranza che resiste a tutte le delusioni; solo il suo amore non può essere distrutto dalla morte; solo la sua giustizia e la sua misericordia possono risanare le ingiustizie e ricompensare le sofferenze subite. Dio benedica la vostra consacrazione, perché ci ricorda di porre in Dio la nostra speranza