Funerale di don Giuseppe Melis

Parrocchia di Solanas, 29 giugno 2009

Il Signore ha chiamato nella sua comunione eterna don Giuseppe Melis, appena sei giorni prima del compimento del suo sessantennio di sacerdozio, essendo stato ordinato da mons. Sebastiano Fraghì il 3 luglio del 1949. Dal 1988 viveva ritirato nella sua casa attigua alla chiesa parrocchiale, dopo avere svolto il suo ministero inizialmente

per un anno a Villanovatruschedu, poi per nove anni a Zerfaliu, dove si è attivato per fare arrivare le Suore Salesiane del Sacro Cuore che dirigono la scuola materna della parrocchia, per tre anni a Zeddiani e, infine, per 26 anni a Nuraxinieddu. Come si vede, una lunga vita sacerdotale ricca di grazia e di benedizioni di cui hanno potuto beneficiare i fedeli che ha avuto in cura pastorale.

Come ricordano i confratelli che concelebrano con me questa Eucaristia, quest’anno, nel giorno della solennità di Pasqua di risurrezione, abbiamo preso commiato da don Mario Oppus. Oggi, nel giorno della solennità dei Santi Pietro e Paolo, prendiamo commiato da don Giuseppe Melis. In tutte e due le circostanze liturgiche sul lutto della morte prevale la lode per la vita e per la potenza di Dio Padre. Quel Dio Padre che ha risuscitato dai morti suo Figlio Gesù Cristo e che ha liberato dalla catene della morte il principe degli apostoli, è colui che accoglie i nostri due sacerdoti nella comunione dei santi. La solennità di oggi ci fa leggere il testamento spirituale dell’apostolo Paolo, nella lettera che egli ha scritto dalla prigione di Roma al suo collaboratore Timoteo: ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede. Non è per nulla azzardato, cari fratelli e sorelle, intravedere evocate in questo testamento dell’Apostolo anche le vicende umane e spirituali del ministero sacerdotale. La vita non è facile per nessuno. Non lo è stato per Gesù, tradito a morte da un suo apostolo, non lo è stato per i profeti dell’Antico e del Nuovo Testamento, giustiziati dai potenti della terra, non lo è stato per i santi, sottoposti a molteplici prove e persecuzioni, non lo è per il sacerdote. Sono diverse le battaglie che il sacerdote deve combattere, quando il suo ministero non viene riconosciuto, quando la sua presenza in una comunità viene contestata, quando le sue decisioni pastorali vengono disattese. Con Giobbe noi diciamo che la vita dell’uomo sulla terra è un combattimento. È vero. Così è stato per gli apostoli di cui facciamo memoria oggi e in modo particolare per l’apostolo Paolo che ha conosciuto difficoltà e persecuzioni di ogni genere. Abbiamo ragioni per ritenere che così sia stato anche per don Melis.

La morte di don Melis ha coinciso con l’ordinazione sacerdotale di don Pier Paolo Murgia ed ha dato un tono del tutto particolare all’inizio dell’anno sacerdotale nella nostra diocesi. Il mistero della vita si è incrociato con il mistero della morte. E’ come se don Melis abbia voluto passare il testimone della fede ad un suo successore e gli abbia raccomandato di continuare il suo servizio a Dio e ai fratelli. Dio ci parla anche attraverso queste coincidenze originali. Forse, ci vuole ricordare che il sacerdozio non è un nostro potere, un bene di cui disponiamo a nostro piacimento, una nostra proprietà, ma un servizio di operai della vigna, che lavorano fino a quando il padrone della vigna li fa lavorare. Media vita mortui sumus, dicevano i medioevali, nel mezzo della vita siamo davanti alla morte. Media morte vivi sumus, nel mezzo della morte siamo di fronte alla vita. Per il cristiano, ogni giorno della vita è la vigilia dell’ingresso nell’eternità.

Quale eredità ci lascia, ora, don Melis con l’Eucaristia che celebriamo per accompagnare il suo commiato dal nostro presbiterio e dalla nostra comunità diocesana? Abbiamo sentito le parole di S. Paolo al suo discepolo e collaboratore: ho combattuto la buona battaglia, ho conservato la fede. La vera eredità, dunque, è la grazia di conservare sempre la fede. La fede è un dono, è il più grande dono che possiamo ricevere dal cuore di Dio. Conserviamo questo dono in un vaso fragile che può cadere da un momento all’altro e rompersi in mille pezzi. Quante persone abbiamo conosciuto nella nostra esperienza pastorale, le quali hanno smarrito il senso della vita ed hanno perso il dono della fede! Nessuno è esentato dall’ora della prova e della tentazione. Ogni santo è un peccatore in potenza, così come ogni peccatore è un santo in potenza. Dobbiamo conservare la fede con molta vigilanza, pregando ogni giorno che il Signore conservi la sua mano di grazia sul nostro capo. Questa mattina, a conclusione della visita pastorale in una parrocchia, ho benedetto una signora, malata terminale, e su sua richiesta, le ho amministrato l’unzione degli infermi. Ho pregato con lei e sono rimasto molto edificato dalla sua devozione, dalla sua fede profonda, dal suo completo affidarsi alla volontà di Dio. Sono sicuro che la sua vita interiore è frutto di un ministero pastorale di verità e di carità.

Ma quale fede dobbiamo conservare? Il papa ci ha ricordato ieri, alla chiusura dell’anno paolino, che dobbiamo conserva una fede adulta ed ha precisato che la fede autenticamente adulta non è quella “fai da te”, che pretende di vivere in autonomia dalla comunione con il papa e con i vescovi, di avere una corsia preferenziale con il Padre eterno, scansando le norme della comunione ecclesiale, bensì quella responsabile, che richiede il "coraggio di stare con la Chiesa, anche se questo stare con la Chiesa contraddice lo 'schema' del mondo contemporaneo". È questo non-conformismo della fede, precisa il papa, che Paolo chiama una 'fede adulta' e qualifica invece come infantile il correre dietro ai venti e alle correnti del tempo". In una parrocchia, la fede adulta è vissuta e testimoniata in comunione con il proprio parroco, inviato dal vescovo, per promuovere l’unità degli intenti e la condivisione dei beni spirituali. Fedeltà a Gesù è fedeltà alla Chiesa. Non c’è fedeltà a Gesù senza la fedeltà alla Chiesa e non c’è fedeltà alla Chiesa senza fedeltà a Gesù. La Chiesa nella quale siamo battezzati e siamo chiamati a vivere la nostra fede è quella di Gesù. Rimaniamo, allora, ed operiamo sempre all’interno di questa Chiesa. Ce lo chiede il ricordo del sacerdozio di don Melis. Lo esige la lealtà alla sua memoria.