Parrocchia di Asuni, 12 aprile 2009
Non pensavo di dover venire a visitare la vostra comunità parrocchiale in circostanze come questa. Don Mario aveva insistito tanto, ultimamente, perché venissi ad amministrare il sacramento della cresima ai ragazzi della parrocchia, ma la concomitanza di altri impegni pastorali non me lo ha consentito. Ci eravamo dato l’appuntamento, perciò,
per vederci in un’altra occasione felice. Vengo oggi, ma l’occasione non è felice; don Mario non c’è più; la sua casa è vuota. Il Signore lo ha chiamato a sé il venerdì santo di quest’anno, in uno strano sovrapporsi di Via Crucis, da quella della via dolorosa di Gerusalemme, a quella di duecentosette bare di vittime del terremoto sul piazzale d’una caserma aquilana, a quella del corpo esanime di don Mario dentro una macchina distrutta da un terribile incidente. Il Calvario si è momentaneamente spostato dalla collina di Gerusalemme a sotto le cime bianche dell’Abruzzo, all’asfalto di una strada dei nostri paesi, in misteriosa solidarietà con i tanti calvari della terra, dove regna il silenzio della morte e non è garantita la luce della fede. Vengo tra voi il giorno di Pasqua, in cui il vangelo che abbiamo proclamato ci parla di una corsa mattutina ad un sepolcro trovato vuoto. La Maddalena corse al sepolcro ma non trovò Gesù. Era risorto. Io e i miei confratelli nel sacerdozio veniamo qui davanti a questa bara, accanto ad una casa vuota. Non troviamo don Mario. È risorto. La potenza della fede ci dà occhi e sentimenti, per vedere ciò che umanamente è invisibile e sentire ciò che umanamente non è sperimentabile.
Cari amici,
la contemplazione del Crocifisso è un'esperienza durissima. E tuttavia è proprio dalla croce che, deposto ciò che è vano e che quindi non serve, contemplando il Crocifisso, si riacquista la capacita di sperare, vale a dire che, partendo da una condizione disperata ma credibile, realistica ma infausta, si scopre di poter ancora dare ragione della speranza che è rimasta in noi, non ancora soffocata. So che è difficile parlare di speranza davanti all’enigma della morte e alla tragedia della distruzione. Ma da quando Cristo è risorto non abbiamo più nulla da temere dalla morte, dalla paura, dalle macerie, dalle case scoperchiate, dalle famiglie distrutte. Tutto potrebbe diventare insopportabile, se non avessimo incontrato, nella nostra vita, la Parola santa che ci è stata tramandata e testimoniata. A volte essa ci irraggia con la forza di un lampo, altre volte richiede di essere molto contemplata, in un atteggiamento di vigile attesa. Essa tuttavia non ci è mai estranea, come alla fine diventano sempre le dottrine puramente umane. Lo spettacolo della sofferenza e della morte a volte genera protesta, a volte compiacimento. Solo la sua contemplazione da una croce genera la speranza. Non dobbiamo chiedere, però, di scendere dalla croce ma di salirci su insieme a colui che è il fondamento della nostra fede.
Non so quante volte abbiamo celebrato la pasqua di risurrezione davanti alla bara di una persona cara, di un familiare, di un amico. Quest’anno il disegno di Dio provvidente ci permette di celebrare il mistero della risurrezione del Signore davanti alla bara di don Mario Oppus, parroco e cittadino di Asuni. Una tale celebrazione di speranza e di vita diventa quasi una provocazione, una sfida. Non è la stessa cosa, infatti, professare la fede nel Cristo risorto quando la notizia della morte è letta nelle cronache dei giornali e quando invece essa ci investe personalmente con la scomparsa improvvisa di una persona cara. Ma anche in questo caso vogliamo dare testimonianza della nostra fede come comunità credente e pregare con convinzione: Io credo: Risorgerò, questo mio corpo vedrà il Salvatore.
Se qualcuno ha seguito alla televisione i funerali delle vittime del terremoto, ha potuto notare che dal campo della caserma dell’Aquila si intravvedevano dei peschi in fiore. La natura madre della vita vinceva sulla natura matrigna, culla della morte. Mors et vita conflixere mirando, abbiamo cantato nella sequenza pasquale, la morte e la vita si sono affrontate mirabilmente, ma alla fine la vita ha sconfitto la morte. Il vescovo dell’Aquila Mons. Giuseppe Molinari, come il buon pastore del vangelo che chiama le sue pecore una per una e le conduce fuori, ha chiamato per nome alcuni dei suoi fedeli morti sotto le macerie del terremoto. Anch’io come pastore di questa amata diocesi vorrei chiamare per nome i miei sacerdoti che ho accompagnato alla casa del padre: Virgilio, Salvatore, Salvatore, Simone, Eugenio, Francesco, Mario. Essi ci hanno preceduto nel segno della fede, sono nella comunione del Signore, hanno trasportato un pezzo del nostro presbiterio nel cielo, pregano ed intercedono per noi, pellegrini di fede e di speranza.
Don Mario aveva iniziato il suo ministero come viceparroco ad Isili per continuare poi come reggente a Senis, parroco ad Assolo e Mogorella, viceparroco a Ghilarza, per 23 anni parroco a Massama e 19 anni parroco ad Asuni. Era nato il 2 dicembre 1919 ed è stato ordinato sacerdote da Mons. Cogoni il 14 luglio 1946, così come Mons. Francesco Manca, che da poco lo ha preceduto nella casa del Padre. Aveva celebrato la festa del suo sacerdozio nella messa crismale di giovedì scorso, in quella comunione con il suo vescovo ed il suo presbiterio che ha sempre curato, non mancando mai alle iniziative della diocesi, ai ritiri del clero, ai convegni ecclesiali, ai corsi di aggiornamento. Pochi giorni fa aveva portato le offerte della parrocchia per il Seminario. La mattina prima di morire aveva distribuito la comunione ai malti del paese e benedetto la salma di un defunto. Aveva preparato tutto per la celebrazione della passione del Signore.
Forse, don Mario non ha fatto in tempo a cantare la struggente melodia del venerdì santo, il giorno del suo incontro con il Signore: “Se tu m’accogli, o Padre buono, prima che giunga sera, se tu mi doni il tuo perdono, avrò la pace vera”. Sono sicuro che il Signore che è padre buono, come egli lo è stato con i suoi fedeli nelle diverse parrocchie che ora piangono la sua scomparsa, lo ha accolto prima della sera del venerdì santo, prima che egli potessi presiedere quella celebrazione che aveva preparato molto bene. Quando avant’ieri sono entrato in questa chiesa, ho trovato sull’altare la reliquia della santa croce. La passione non l’ha celebrata con la sua comunità, l’ha vissuta dentro una macchina e la racconta solo ai suoi cari ai quali si è riunito nella comunione dei santi. Per lui l’alba della risurrezione è spuntata prima del tramonto del venerdì santo. Il Risorto che ha incontrato nell’ora decisa dal Padre, gli dona il perdono e gli dà la pace vera. Ha fatto in tempo a darmi gli auguri di pasqua nella sacrestia della Cattedrale e ora glieli ricambio con una comune preghiera di intercessione.
Con l’apostolo Paolo ripetiamo: tu sei morto e la tua vita è ormai nascosta con Cristo in Dio. Quando si manifesterà Cristo, la tua vita, allora anche tu sarai manifestato con Lui nella gloria (Col 3, 3-4).