Funerale di Mons. Giovanni Melis

Santuario del Rimedio, 11 settembre 2009

Siamo riuniti in questa basilica della Madonna del Rimedio per ricordare il carissimo Mons. Giovanni Melis, a pochi giorni dalla sua morte, come uomo di preghiera, uomo di profezia, uomo di benedizione. Ci conforta in questo ricordo la Parola di Dio che abbiamo ascoltato e dalla quale ci lasciamo illuminare. Infatti, non abbiamo scelto noi la liturgia del

giorno, per evitare di suggerire noi a Dio quello che Egli ci deve dire, ma abbiamo rispettato il calendario dell’anno liturgico, per ascoltare quanto Dio ci vuol dire nella celebrazione quotidiana del mistero pasquale. Il salmo responsoriale che abbiamo pregato insieme esprime la fiducia del cristiano in Dio, Signore della vita e della morte: “nelle tue mani è la mia vita… Io pongo sempre innanzi a me il Signore, sta alla mia destra, non posso vacillare. Di questo gioisce il mio cuore, esulta la mia anima; anche il mio corpo riposa al sicuro, perché non abbandonerai la mia vita nel sepolcro, né lascerai che il tuo santo veda la corruzione”. È questa la fiducia e la speranza che ha animato il ministero sacerdotale ed episcopale di Mons. Melis nella Chiesa di Oristano, di Tempio Pausania, e soprattutto nella Chiesa di Nuoro.

È stato un uomo di preghiera. A lui si può applicare sia la profezia del giovane Samuele: “Farò sorgere al mio servizio un sacerdote fedele che agirà secondo il mio cuore e il mio desiderio” (1Sam 2, 35); sia il detto della sapienza popolare: “è morto come è vissuto”. La sapienza divina e la sapienza popolare, quindi, descrivono molto bene la dimensione interiore di Mons. Melis. Se è vero che la morte ci fissa nella nostra identità, che essa è l’ultimo tocco divino del nostro ritratto umano, il ritratto più vero di Mons. Melis è quello di un uomo di preghiera. La sera del 3 settembre è morto in chiesa, pregando, in attesa di celebrare la messa. Non l’ha celebrata su questa terra, ma nella Gerusalemme celeste, davanti al Signore della sua vita. Il suo “dies natalis” lo ha portato a contemplare quel mistero di morte e di risurrezione che spesso ha predicato nei diversi momenti di gioia e di dolore del suo lungo e fecondo ministero. La sua vita è stata una vita di preghiera. Negli ultimi tempi trascorreva lunghe ore di meditazione davanti al Santissimo e nella recita del rosario. La preghiera lo collegava con l’eternità, di cui parlava frequentemente, in attesa dell’incontro con Dio.

Mons. Melis è stato anche un uomo di profezia. La sua preghiera non lo ha mai estraniato dalla complessità della vita e dai problemi più difficili che doveva affrontare. Possiamo dire che con la preghiera egli ha piegato il cielo sulla terra. Ha sempre guardato in faccia la realtà, senza paura di giudizi umani. Di lui si può fare l’elogio che la Scrittura riserva agli uomini grandi. Nel descrivere i personaggi illustri della storia della salvezza, Il Siracide tratteggia la figura di Noè dicendo: “tempore iracundiae factus est reconciliatio”, nel tempo dell’ira è diventato riconciliazione. Quante volte Mons. Melis ha cercato di portare pace e perdono nelle famiglie colpite dall’odio omicida! Quante volte ha alzato la voce contro i delitti cha hanno funestato la vita di molti uomini e di molte donne. Sempre si è prodigato nel portare a tutti una parola di pace, di conforto, di speranza.

Infine, Mons. Melis è un uomo di benedizione. La sua memoria e il suo ricordo “dicono bene” di lui. Il vangelo di oggi ci esorta a non giudicare, a essere severi con noi stessi e misericordiosi con gli altri. Nella vita succede spesso il contrario: siamo misericordiosi con noi e severi con gli altri. Il ministero episcopale di Mons. Melis ci ricorda che bisogna essere sempre misericordiosi con tutti, perché Dio è più grande del cuore dell’uomo. Io, ho sperimentato personalmente la sua paternità in un momento delicato della mia vita, quando ho dovuto prendere delle decisioni molto difficili.

Dopo una breve esperienza in America Latina, avevo deciso di lasciare il servizio diplomatico della Santa Sede per riprendere la docenza della teologia all’Università Lateranense, e la mia decisione non è stata condivisa dai Superiori della Segreteria di Stato. In quel momento di solitudine interiore ho percepito l’importanza del suo cuore di padre e della sua guida sapiente. Ha “benedetto” la mia decisione e mi ha rinnovato la comunione sacerdotale.

Cari fratelli e sorelle,

sono tanti i modi di commemorare le persone defunte. Discorsi, convegni, conferimento di medaglie, erezione di monumenti. Noi, per questa commemorazione, abbiamo scelto la celebrazione dell’Eucaristia, sia per rinnovare la nostra fede nella risurrezione e la speranza nella vita eterna, sia per innalzare la nostra lode di ringraziamento a Dio per la vita e le opere di Mons. Melis. Ad una persona che si ama, si dice: è bello che tu ci sei. A Mons, Melis vorremmo dire: è bello che tu ci sei stato; è bello che ti abbiamo conosciuto, che ti abbiamo stimato, che ti abbiamo avuto come padre e come guida. La certezza della fede ci assicura che egli, nella comunione dei santi, continua a vivere con noi come amico e come sacerdote. Ricordiamo: per lui è stato più importante vivere da sacerdote che fare cose da sacerdote.

Concludo, allora, questa breve commemorazione con le parole del suo testamento spirituale che rivelano il suo animo di sacerdote.

“Scrivo questo mio testamento spirituale con un vivissimo senso di abbandono nelle mani di Dio. Lo scrivo nella ricorrenza del mio ottantesimo compleanno, nel giorno in cui la Chiesa fa memoria della Vergine Santissima onorandola col titolo di Madonna del Rosario. Volgendo lo sguardo agli anni trascorsi li vedo come un succedersi ininterrotto di avvenimenti ora lieti ora dolorosi ma tutti legati da un filo invisibile e misterioso che li conduce a Dio, fonte di ogni bene e di ogni realtà. Giunto ormai ai limiti della mia esistenza terrena mi è sempre più facile riconoscere che il mio compito essenziale, direi la mia vocazione, è quello di lodare, ringraziare e benedire il Signore.

Alla luce dell’eternità, cui ormai mi sento vicino, valutando meglio il mio operato, le mie intenzioni e i miei rapporti con il prossimo riconosco in tutta sincerità e umiltà di essere ben lontano da quelle virtù e da quella bontà cui il Signore mi aveva chiamato e che era esigita dalla mia vocazione sacerdotale e dal mio servizio episcopale.

Chiedo, quindi, perdono e misericordia a Te, mio Dio!

A tutti assicuro la mia preghiera davanti al trono di Dio, dove, per la sua divina misericordia, spero di essere accolto. Veni Domine Jesu. Mater mea fiducia mea. Ci benedica tutti Dio onnipotente, Padre, Figlio e Spirito santo. Amen”.