Don Alejandro Garcia Quintero

Parrocchia di Santa Giusta, 30 marzo 2019

Cari fratelli e sorelle, 
saluto e ringrazio tutti voi, in modo particolare i familiari di don Alejandro Garcia, i parenti, gli amici, i seminaristi suoi compagni di studi e formazione, i fedeli della comunità

parrocchiale di Santa Giusta, per aver voluto partecipare a questa Eucaristia e accompagnare con la preghiera la consacrazione di don Alejandro al servizio della Chiesa e del prossimo.

Nella proclamazione della Parola di Dio, abbiamo sentito l’invito dell’Apostolo Paolo ai cristiani di Corinto: “Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Cristo” (2Cor 5, 20). Vorrei considerare questo invito alla riconciliazione come la missione principale che viene affidata al nuovo sacerdote. Il sacerdote, infatti, è un uomo di riconciliazione, deve essere principalmente un uomo di riconciliazione. Ciò che il Siracide, nell’elogio degli uomini illustri, scrive di Noè: “al tempo dell’ira fu riconciliazione” (Sir 44, 17) lo si dovrebbe scrivere di ogni sacerdote. Così come ciò che il suocero Iettro disse a Mosè: “Tu sta’ davanti a Dio in nome del popolo e presenta le questioni a Dio. A loro spiegherai i decreti e le leggi: indicherai loro la via per la quale devono camminare e le opere che devono compiere” (Es 18, 19), lo si può ripetere anche del sacerdote. Il sacerdote sta davanti a Dio in nome del popolo e gli presenta le sue ferite e le sue speranze, il dolore per il peccato commesso e la preghiera per la grazia della conversione.

La parabola del Vangelo sul figliuol prodigo descrive il dramma delle conseguenze della scelta del figlio minore. In realtà, quella scelta è comune ad ognuno di noi, perché, come nell’animo del figlio minore, anche in ognuno di noi ci sono momenti di ribellione, di richiesta della nostra parte di eredità per partire lontani, ricchi di desideri e poveri di sicurezze. Se nei sentieri della vita l’esperienza della povertà e della solitudine ci spinge al pentimento, ricordiamoci che è umano cadere, ma è divino rialzarsi. Se l’eroismo sta nella capacità di non cadere, la santità sta nella capacità di rialzarsi, e Dio non premia gli eroi ma glorifica i santi. Secondo la felice espressione di Papa Francesco, che traduce l’annuncio del profeta Isaia, noi siamo tatuati sulla mano di Dio (cfr. Is 49, 16) e viviamo, quindi, sempre sotto il suo sguardo di bontà, anche quando ci illudiamo di vivere lontano da Lui e di sottrarci alla sua paternità. Infatti, secondo S. Agostino, Dio è più intimo in noi più di quanto non lo siamo noi a noi stessi: interior intimo meo et superior summo meo.

Nel nostro mondo di segreti eroismi e manifeste povertà, il sacerdote è chiamato ad essere un uomo di Cristo. Gli uomini e le donne del nostro tempo, pur in mezzo alla ricerca di relazioni, di sicurezza, di benessere materiale, hanno una gran sete di Cristo, e questa la possono estinguere solo alle sorgenti del Vangelo di Gesù, luce e guida nel cammino della vita. I bisogni sul piano economico, sociale, politico li possono soddisfare attingendo a tante altre sorgenti. Al sacerdote si chiede di annunciare il Vangelo e comunicare la sua esperienza personale di Gesù! Gli uomini di oggi si aspettano dal sacerdote, prima che la parola “annunciata”, la parola “vissuta”. Il presbitero deve “vivere della Parola”. “I presbiteri, insegna il Concilio, nella loro qualità di cooperatori dei Vescovi, hanno anzitutto il dovere di annunciare a tutti il Vangelo di Dio” (PO, 4).

Accanto alla vocazione di uomo di Cristo il sacerdote è chiamato ad essere uomo di preghiera. Il sacerdote dev'essere innanzitutto uomo di preghiera, convinto che il tempo dedicato all'incontro intimo con Dio è sempre quello impiegato meglio, perché oltre che a lui giova anche al suo lavoro apostolico. “La preghiera crea il sacerdote e il sacerdote si crea attraverso la preghiera”. Il segreto più vero degli autentici successi pastorali non sta nei mezzi materiali, ed ancor meno nei “mezzi ricchi”. “I frutti duraturi degli sforzi pastorali nascono dalla santità del sacerdote. Naturalmente sono indispensabili la formazione, lo studio, la cultura, l'aggiornamento; insomma, una preparazione adeguata, che renda capaci di discernere i segni dei tempi e di definire le priorità pastorali. Indispensabili sono certo anche i mezzi materiali, come quelli che ci offre la tecnologia moderna, tra cui anche i social. Tuttavia, il segreto rimane sempre la santità di vita del sacerdote che s'esprime nella preghiera e nella meditazione, nello spirito di sacrificio e nell'ardore missionario” (Benedetto XVI).

L’esperienza condivisa ci dice che chi vive una vita di santità non conosce la tristezza, ma è in pace con Dio, con se stesso, con il prossimo. Ci sono, purtroppo, tante passioni tristi nel mondo dei diseredati dello spirito, e cioè nel mondo dei nostri giovani, che hanno smarrito il senso dell’amore e del dolore; delle nostre famiglie, che faticano a vivere serenamente il rapporto di fedeltà e reciprocità; dei tanti egoisti dichiarati o simulati, che ignorano la povertà e la miseria del vicino di casa; dei condannati nel letto della sofferenza, troppo spesso privi del conforto umano e dell’aiuto della fede. Queste tristezze portano alla solitudine e alla morte e non creano futuro. Per converso, le tristezze secondo Dio, quelle, cioè, che ci possono colpire quando soffriamo per errori commessi o disgrazie subite, fanno certamente male al cuore e alla mente, ma sono salutari. Esse sono salutari soprattutto, perché promuovono il coraggio per ricominciare da capo, e suscitano l’umiltà per chiedere aiuto.

Caro Don Alejandro, cari fratelli e sorelle,

con la mia ultima lettera pastorale, vi ho invitato a custodire il mistero di Cristo. Vi chiedo di continuare ad annunciarlo, a viverlo, a testimoniarlo. Abbiamo bisogno dell’amore divino, cioè di quello che non sappiamo dare e di quello che non sappiamo meritare. Dobbiamo chiedere al Signore di farci amare chi non ci stima e di stimare chi non ci ama; di farci amare chi ci critica alle spalle e ci loda di fronte; chi condivide le nostre scelte e chi le contrasta; chi dimentica il male arrecato e non ricorda il bene ricevuto. Lo so che siamo pieni di limiti, e, di conseguenza, non possiamo imitare il grande amore di Gesù, che ha dato la sua vita per la salvezza di tutti gli uomini. Chiediamo, allora, la grazia di non pentirci mai di aver amato, e di dimenticare sempre chi ci ha offeso. Un mondo più giusto ed una Chiesa più santa sono possibili. Vi auguro e mi auguro di essere protagonisti felici di questa nuova giustizia e di questa nuova santità.