Parrocchia di Seneghe, 31 maggio 2019
Benvenuti a questa celebrazione eucaristica nella quale viene conferita l’ordinazione presbiterale a don Enrico Porcedda, diacono di questa comunità parrocchiale.
Saluto con viva cordialità il parroco don Antonello Serra, i genitori, i familiari, parenti, amici di don Enrico, i Superiori e i seminaristi del Seminario Regionale e Diocesano, e tutti voi, fratelli e sorelle in Cristo.
Se, ora, in ascolto della Parola di Dio che è stata proclamata, ci fermiamo un attimo a considerare le occasioni nelle quali Maria si è mossa per compiere qualche viaggio, notiamo due cose. In primo luogo, Maria si muove per andare a trovare parenti ed amici che attraversano momenti di bisogno, come la cugina Elisabetta, o momenti di gioia, come gli sposi di Cana. In entrambi i casi si tratta di vicende della vita di famiglia. Nel momento in cui Lei diventava la madre del Messia, la madre del Figlio di Dio, non disdegnò di mettersi in viaggio verso la montagna per dare una mano di aiuto a una sua parente. Rimase tre mesi ad accudire alle faccende domestiche nella casa di Elisabetta, la madre di Giovanni Battista. In secondo luogo, tutte le volte che lei si muove, lo fa per portare Gesù. Quando si recò dalla cugina, lei portava già nel grembo il suo figlio, e, quindi, si può dire che lei compiva il primo viaggio missionario della storia cristiana, perché portava Gesù, il Figlio di Dio, il Salvatore dell’umanità. In effetti, alla sua cugina, non appena ha sentito il suo saluto, le sussultò nel grembo il bambino, e piena di Spirito Santo, proclamò la prima beatitudine del Vangelo: “beata colei che ha creduto nell’adempimento delle parole del Signore”. Come risposta, Maria donò alla Chiesa il più bel canto di lode di tutti i tempi: il Magnificat. Quando poi lei si recò a Cana di Galilea, si accorse subito dell’imbarazzo dei giovani sposi e spinse Gesù ad operare il suo primo miracolo per cambiare l’acqua in vino.
Questi episodi evangelici di due visite di Maria contengono importanti messaggi per la nostra vita di fede e di speranza. Per quanto riguarda innanzitutto la vita di fede, Maria ha creduto alla parola di Dio e ci insegna a credere ad essa. Al contrario degli scribi e dei farisei, la Vergine Maria ha creduto alla Parola di Dio anche senza l’aiuto e l’appoggio di una evidenza umana. All’arcangelo che le portava l’annuncio, ella, non essendo sposata, chiese semplicemente di sapere come avrebbe potuto concepire e diventare madre. Una volta rassicurata sull’intervento divino per la sua maternità, si affidò al compimento della Parola: “si compia in me la tua Parola” (Lc 1, 38). In buona sostanza, la domanda di Maria: “come è possibile, non conosco uomo?” (Lc 1, 34) non mette in dubbio l’onnipotenza divina, ma chiede solo una spiegazione di come questa onnipotenza divina opererà, con quale collaborazione umana essa potrà portare a compimento il suo piano. Anche nell’episodio delle nozze di Cana, Maria si limita a mettere in evidenza la situazione di difficoltà e di povertà (cfr. Gv 2, 3), nella fiducia che suo figlio non avrebbe chiuso gli occhi davanti al bisogno degli sposi.
Questa sapienza evangelica, dunque, ci insegna che dobbiamo metterci in ascolto della Parola di Dio, fidandoci di essa, partendo dalla convinzione sicura che questa ci aiuta a leggere la vita quotidiana con la grammatica di Dio. Gli occhi di Dio, cioè, ci aiutano a trovare i contorni del cielo nelle ombre della terra, ossia il disegno dell’amore di Dio nascosto nelle sofferenze e nelle speranze di tutti i giorni. Davanti al mistero di Dio e della sua provvidenza che guida la storia delle persone e del mondo, l’atteggiamento più giusto, perciò, è, ancora una volta, quello di Maria la madre di Gesù. Il vangelo ci riferisce, a questo riguardo, che i genitori di Gesù, durante il viaggio a Gerusalemme per la festa della Pasqua in compagnia del loro figlio dodicenne, “non compresero le sue parole” (Lc 2, 50), con le quali egli giustificava il suo smarrimento di tre giorni. Ma, nonostante ciò, invece di insistere nel chiedere ulteriori spiegazioni, “sua madre serbava tutte queste cose nel suo cuore” (Lc 2, 51). Maria, quindi, si presenta come la custode della Parola di Dio. L’ascolto convinto della Parola di Dio, sull’esempio di Maria la madre del Crocifisso, ci può aiutare a diventare custodi di riconciliazione e di perdono. Tante persone conservano nel riserbo della loro coscienza domande di mistero e di dubbio di fronte al male inspiegabile, alla sofferenza innocente, alla violenza gratuita. Anche esse, con la luce della Parola di Dio e la forza dello Spirito, possono diventare custodi della fede e della speranza, e possono trasformare le stagioni del male nelle stagioni della grazia.
Per quanto riguarda il messaggio evangelico sulla vita di speranza, il cristiano si sente debitore di una speranza che ha ricevuto senza merito e che deve comunicare agli altri senza ricompensa. Egli dà ragioni di vita e di futuro nella misura in cui vive un'attesa da pellegrino in terra straniera. Nella pasqua di liberazione dell'antico Israele, quando l'angelo del Signore è passato, il popolo si è messo in cammino, e ha lasciato la terra straniera senza esitazione e senza spiegazione. Il cristiano è ben cosciente che non vive nella sua patria d'arrivo, che non vive nella stabilità e passività della meta raggiunta. Colui che spera vive il paradosso di essere nel mondo, ma non del mondo e, vivendolo, comunica ad altri il fascino di una vita ormai nascosta in Cristo. La speranza cristiana, lungi dall'essere un vago sentimento che le cose andranno bene, che anche dal male verrà alla fine del bene, che le cose dure della vita prima o poi termineranno, è uno sguardo che sa attraversare la morte senza evitarla, ma dandole significato alla luce della pasqua di Gesù.
Sanno dare segni di speranza gli uomini e le donne che trasformano l'esperienza inevitabile della sofferenza in una pagina di vangelo della vita e del coraggio. Sperare implica credere che esiste una risposta significativa alle domande grandi della vita, non attingendola alla forza delle idee chiare e distinte, ma alla capacità donata dall'alto di scorgere fari di luce nel mare oscuro delle cose incerte. Sperare implica, però, credere che esiste una risposta anche alle domande deboli. Nella vita, infatti, non ci sono solo le domande grandi. Spesso si devono fare i conti con le speranze deboli, che non sono necessariamente domande meschine. Si tratta di speranze comuni, quotidiane, di cose buone, come la salute fisica, la pace sociale, la concordia familiare. Queste speranze sono "ragionevoli," umanamente degne, ma devono diventare capaci di generare nell'anima l'attitudine di affrontare e accogliere la vita nella sua interezza, come dono sempre nuovo di Dio.
Caro don Enrico,
tra poco, con l’imposizione delle mie mani, verrai consacrato al servizio della Chiesa e del prossimo. Dovrai benedire, accompagnare, confortare tante persone. Porta loro Gesù con la grazia del sacramento; insegna loro a sperare nella vita eterna senza dimenticare la vita terrena.