Cattedrale di Oristano, 11 giugno 2017
Oggi si rinnova la gioia della nostra Chiesa arborense, perché accoglie nel suo presbiterio un nuovo sacerdote, che mi accingo ad ordinare per la quattordicesima volta negli anni del mio ministero episcopale. Per questa circostanza solenne sono presenti in Cattedrale i genitori, i familiari, gli amici di don Giacomo Zichi,
i Superiori del Seminario regionale e Diocesano, numerosi confratelli nel sacerdozio, i sindaci di Riola e Oristano, le autorità militari. A tutti un caro saluto di pace e benedizione nel nome di Gesù, nostro Signore e Salvatore.
Don Giacomo, dunque, con l’imposizione delle mani del Vescovo, consacra la sua vita a Dio per il servizio della Chiesa e del prossimo. Ma a quale Dio consacra la sua vita e quale prossimo incontrerà nel suo futuro ministero? Quale Dio vuole servire? Quale Dio vuoi annunciare? A Mosè Dio si rivela come misericordioso. Nella lettera di San Paolo si rivela come grazia di Gesù, amore del Padre, comunione dello Spirito. Il Vangelo ci rivela il piano di Dio come piano di salvezza per tutti e di condanna per nessuno. In sintesi, la solennità liturgica della Trinità ci rivela un Dio salvatore e non giudice, che si fa conoscere nella storia del Figlio Gesù e nell’opera dello Spirito Santo. Gli studiosi della teologia hanno descritto questa manifestazione di Dio come Trinità che opera nella storia della salvezza. Da questa esperienza di Dio nella concretezza della vita si risale al concetto di Dio nella convinzione personale e nella fede della comunità. Ciò che facciamo manifesta in quale Dio noi crediamo e quale fede noi professiamo. Purtroppo, per alcuni Dio è rimasto il mistero degli anni dell’infanzia; per altri l’invocazione come protesta nell’ora della prova e del pericolo, per altri ancora, qualcuno che si conosce per sentito dire (cfr. Gb 42, 5).
Penso che il prossimo della missione del sacerdote oggi sia quello che tenta di vivere come se Dio non esistesse. Un paganesimo strisciante trasforma lentamente la fede in superstizione e la morale in una catena di proibizioni e divieti. È necessario, allora, portare la gente a vivere come se Dio esistesse. Ma non per creare sensi di colpa o inventare modi infiniti per offenderlo e insultarlo. Ma per trovare modi infiniti per amarlo, lodarlo, servirlo, come quello della badante, che assiste con cura il malato terminale, o quello della monaca di clausura, che canta l’ufficio nel cuore della notte. C’è un amore che non conosce parole e ci sono parole che non conoscono l’amore. Ci sono sentimenti reali e sentimenti simulati. Su questo intreccio di verità e finzione, di preghiera e protesta, di amore e odio, il sacerdote è chiamato a piegare il cielo, per dare senso e colore alle stagioni della vita.
È chiaro, ora, che essere prete oggi non è lo stesso che essere prete cinquanta anni fa. Il contesto sociale è cambiato, e anche nei nostri paesi si sentono gli effetti della globalizzazione e della secolarizzazione. La società è sempre più “aperta”, e il mondo è ormai diventato un villaggio, dove un qualsiasi evento tra i grattacieli di New York rimbalza nei bar di Riola. Una società “chiusa” difende facilmente le sue tradizioni, i suoi valori, le sue pratiche. In una società aperta, invece, è messo tutto in discussione, perché ciò che la gente crede giusto e valido nel mondo occidentale lo ritiene ingiusto e insignificante nel mondo orientale. Questa società aperta, in continuo cambiamento e sviluppo, ha modificato ma non diminuito la domanda religiosa. Si sente il bisogno di qualcosa o di qualcuno che ci aiuti nel momento della prova, di qualcosa che sia più grande delle nostre forze ma più intima dei nostri desideri. Si cerca questo qualcosa con ogni mezzo. Nel momento del bisogno, purtroppo, non si guarda a spese, alla bontà dell’offerta, ma si cerca solo di vincere il dolore e la sfortuna. Basti pensare al numero delle persone che si rivolgono a maghi, indovini, fattucchieri, guaritori e al fatturato enorme di questo mondo di inganni e illusioni. Chi è senza speranza e colpito dal dolore e dalla prova cerca tutte le possibili vie di salvezza offerte dal mercato del sacro. Non sempre è facile scoprire e denunciare i venditori di illusioni, di palliativi, di inganni. Il primo compito del prete, in questi casi, è quello di educare la domanda religiosa, non cambiando le formule delle preghiere, ma cambiando la testa delle persone.
In una società “chiusa” prevalgono la consuetudine, l’abitudine, la tradizione, il “si è fatto sempre così”. Se uno rispetta le tradizioni sta in pace con sé, con Dio, con il prossimo. In una società “aperta”, invece, c’è il confronto continuo delle molteplici opportunità, dei diversi orientamenti, degli opposti ideali. Bisogna, perciò, che il prete sia capace di aiutare a discernere le proposte delle varie agenzie educative e dei sofisticati laboratori di pensiero che determinano l’inconscio collettivo. Il prete che svolge il ministero all’interno della società aperta deve sapere incoraggiare i fedeli a non rimanere ancorati al passato, anche perché il semplice passato non è storia e il ricordo del passato alimenta la nostalgia senza creare futuro. Deve soprattutto aiutare i fedeli laici a scoprire e vivere la loro vocazione di battezzati nella Chiesa e per la Chiesa. Oggi lo Spirito dice alla nostra Chiesa arborense di avere preti meno laicizzati e laici meno clericalizzati. Se ascoltiamo questa voce avremo poca paura del futuro e molta fiducia nella fantasia dello Spirito.
Caro Don Giacomo,
con le parole di papa Francesco, ti auguro di essere un prete che ha una profonda esperienza di Dio ed è configurato al cuore di Cristo Buon Pastore; docile alle mozioni dello Spirito; nutrito della Parola di Dio, dell’Eucaristia e della preghiera; missionario di carità pastorale per i più deboli e i più lontani; in profonda comunione con il Vescovo, con i confratelli presbiteri, i diaconi, i religiosi, le religiose e i laici; servitore della vita, attento alle necessità dei più poveri, impegnato nella difesa dei diritti dei più deboli e promotore della cultura della solidarietà; infine, pieno di misericordia, sempre disponibile ad amministrare il sacramento della grazia e del perdono.
Questo ideale di prete può apparire molto teorico, scolastico, scritto sulle pagine dei libri di spiritualità e non sulle righe delle sfide quotidiane dell’annuncio del Vangelo. Noi, come comunità diocesana, ti assicuriamo la preghiera perché tu lo renda concreto con il tuo stile di “pastore di popolo” e non “chierico di Stato”; d’uomo di Dio, che lavora per creare nostalgia di cielo e amore della terra. La Madonna del Rimedio vigilerà suoi tuoi passi di “messaggero di buone notizie, che annuncia la pace, che è araldo di notizie liete, che annuncia la salvezza, che dice a Sion: “Il tuo Dio regna!” (Is 52, 7)