Parrocchia di Seneghe, 21 aprile 2017
È con profonda gioia che questa sera ordino presbitero della nostra Chiesa arborense il diacono di questa comunità parrocchiale don Alessandro Manunza. Saluto con viva cordialità il reverendo parroco don Antonello Serra, il signor sindaco, i familiari di don Alessandro,
i confratelli concelebranti, i seminaristi del Seminario Regionale e del nostro Seminario Diocesano, i parenti, gli amici venuti da vicino e da lontano. La mia gioia è sicuramente condivisa dalla comunità diocesana, profondamente grata a Dio per un nuovo operario che inizia a lavorare nella vigna del Signore
Nella celebrazione di questa sera ci accompagnano alcuni quadri biblici della liturgia pasquale e la memoria liturgica di un grande santo della tradizione cristiana: Sant’Anselmo d’Aosta. Un primo quadro biblico degli Atti degli Apostoli ci riporta ai primissimi giorni della Chiesa del Risorto, quando la novità dell’evento della risurrezione e la predicazione del Vangelo si scontrarono con la durezza di cuore dei sacerdoti del Tempio. Gli apostoli vengono arrestati perché predicavano la risurrezione, ma essi non si spaventano e affrontano con determinazione i loro persecutori. Ciò che sorprende in questa vicenda, tuttavia, è il fatto che i nemici degli apostoli non sono i capi politici ma i sacerdoti e la famiglia dei sommi sacerdoti. Costoro, che conoscevano sicuramente le profezie sul Messia, non lo hanno voluto riconoscere nella persona di Gesù, ed ora hanno paura di perdere il potere di dominio cultuale e religioso sul popolo che caricavano di pesi insopportabili. Perciò, imprigionano e combattono gli apostoli. Gli apostoli reagiscono. Ma come si deve reagire quando si è perseguitati?
Abbiamo una risposta dal secondo quadro biblico, che ci dà le coordinate della giusta reazione. San Pietro si rivolge ai cristiani del suo tempo e indica loro il dovere di rendere ragione della propria speranza con dolcezza e rispetto. Anzitutto, si deve rendere ragione della speranza, ossia si deve motivarla e giustificarla. Il metodo che l’apostolo suggerisce per la motivazione è basato sulla dolcezza e sul rispetto, doti che, nel magistero di papa Francesco, si riassumono nella misericordia. Ma Sant’Anselmo ci dice che la fede e la speranza vanno anche pensate. Al suo tempo, si sviluppò un dibattito all'interno della stessa filosofia cristiana tra chi dava importanza al ragionamento per risolvere e dimostrare le questioni di fede e chi, invece, svalutava questi metodi di indagine razionale a favore del ricorso immediato alla fede e alle Scritture. San Giovanni Paolo II, nell’enciclica Fides et Ratio scrive che “la fede e la ragione sono come le due ali con le quali lo spirito umano s’innalza verso la contemplazione della verità. È Dio ad aver posto nel cuore dell’uomo il desiderio di conoscere la verità, e in definitiva, di conoscere lui, perché conoscendolo e amandolo, possa giungere anche alla piena verità su se stesso”. La biografia di Sant’Anselmo ci dice che, nel nostro dialogo con il mondo moderno, anche se esso accetta più i testimoni dei maestri, è possibile usare queste due ali per andare a Dio, per credere e accettare fermamente quello che la Rivelazione ci offre e che deve essere considerato come “punto di riferimento” o “vera stella di orientamento”. Il modello missionario suggerito da papa Francesco, tuttavia, privilegia la “Chiesa ospedale da campo” che sana le ferite, la “Chiesa in uscita”, che accompagna i dubbiosi, incoraggia i deboli, perdona i peccatori.
Nel terzo quadro biblico, S. Giovanni racconta che Simon Pietro, Giacomo e Giovanni ed altri quattro discepoli, ritornati alla loro professione di pescatori dopo i fatti di Gerusalemme, si recano a pescare sul lago di Tiberiade, ma per tutta la notte non prendono niente. Al mattino, Gesù, che era già morto e risorto, si manifesta loro sulle rive del lago, ma essi non lo riconoscono. Chiede da mangiare, ma essi non ne hanno. Gesù suggerisce allora loro di gettare le reti dalla parte destra della barca, ed essi, se pur scettici, gli obbediscono. Immediatamente la rete si riempie di "153 grossi pesci" ma non si spezza. Nel racconto analogo della pesca miracolosa, San Luca scrive che “quando ebbe finito di parlare, disse a Simone: "prendi il largo e calate le reti per la pesca". Simone rispose: "Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla; ma sulla tua parola getterò le reti". E avendolo fatto, presero una quantità enorme di pesci e le reti si rompevano” (cfr. Lc 5, 1-11).
Ora, secondo l’interpretazione di S. Agostino, nel racconto della pesca miracolosa di S. Luca le reti si rompono perché contengono idealmente pesci buoni e pesci cattivi, simboli degli uomini buoni che creano comunione e di quelli cattivi che producono scissioni, scismi, divisioni. Infatti, nella rete che sarà gettata nel mare alla fine dei tempi e che raccoglie ogni genere di pesci, i pescatori separeranno i pesci buoni da quelli cattivi, ossia, verranno separati gli uomini buoni per la salvezza eterna, quelli cattivi per la dannazione eterna (cfr. Mt 13, 47-50). Invece, nella pesca miracolosa raccontata da Giovanni ed avvenuta dopo la risurrezione di Gesù, le reti non si rompono, perché, sempre simbolicamente, esse contengono solo i pesci buoni, ossia indicano gli uomini che al giudizio finale saranno collocati alla destra e saranno salvati.
Infine, nel racconto di S. Giovanni c’è un particolare che desta la nostra attenzione. L’evangelista annota che quando Pietro capisce che l’uomo ritto sulla riva è il Signore, si cinge della sua veste, perché era nudo, e si getta in mare per raggiungere a nuoto la riva, mentre gli altri arrivano con la barca. Il fatto strano e poco logico è che Pietro per gettarsi in mare si veste, invece di spogliarsi. Egli, infatti, è già spogliato e avrebbe potuto gettarsi in mare così come era. Perché si veste? S. Giovanni non lo dice. Possiamo allora immaginare che egli alluda simbolicamente al vestito della fede, che è necessario per riconoscere il Signore.
Caro don Alessandro,
questi quadri biblici ci dicono che il Signore è con noi, nelle nostre giornate di lavoro, anche quando non percepiamo la sua presenza e, magari, la sera, dopo tanta fatica, ci troviamo con le mani vuote e il cuore deluso. Forse ci manca il vestito della fede per riconoscerlo o l’abito nuziale per partecipare al suo banchetto (cfr. Mt 22, 1-14). Tu, come sacerdote, dovrai aiutare i fedeli a rivestirsi dell’abito nuziale perché possano essere accolti dal Signore. Il tuo futuro ministero non sarà facile né all’interno né all’esterno della comunità ecclesiale. Ricordati, perciò, di presentare sempre con dolcezza e rispetto le ragioni della fede e della speranza cristiane. Ricorda soprattutto che la ragione più forte che viene accettata dai credenti e non credenti sarà la tua testimonianza di fede, speranza e carità, e non il tuo mestiere di prete. Il Signore ti dia la grazia di essere prete e di non fare il prete.