Parrocchia di Santa Maria, Cabras 14 gennaio 2012
È certamente un grande dono del Signore per la comunità diocesana l’ordinazione d‘un presbitero proprio all’inizio della celebrazione dei trecento anni di vita del nostro seminario. Accogliamo questo dono con gratitudine, e, in questa circostanza, allarghiamo la gratitudine al Signore per il dono di tutti i sacerdoti
che nei numerosi anni trascorsi si sono formati nel seminario e hanno portato la vicinanza di Dio agli uomini e alle donne dei nostri paesi. Il loro ricordo sia per noi motivo di gioia e speranza.
Il messaggio spirituale della liturgia della Parola che accompagna la nostra celebrazione, ora, è tutto racchiuso nelle domande: “che cosa cercate”: “dove abiti” e nella decisione: “si fermarono presso di Lui”. La domanda che rivolge Gesù mette in risalto che nella ricerca di Dio da parte dell’uomo Dio ci precede sempre, perché la salvezza non è una conquista della nostra bravura ma un dono della grazia di Dio. Anche nella vita spirituale è vero che “chi cerca trova”, come dice il proverbio della gente, ma è ancora più vero che “chi cerca è stato trovato”, come ci insegna la sapienza del Vangelo. Infatti, la sequela, in quanto conseguenza della chiamata, non scaturisce da una decisione autonoma e personale, ma dall'incontro con la persona di Gesù. È un evento di grazia, non una scelta dell'uomo, e, come tale, richiede una forte dose di fiducia. Non sappiamo con certezza se i discepoli conoscessero Gesù, se ne avessero sentito parlare, se lo avessero incontrato altre volte, se sapessero dove egli abitava. “Che cercate?” chiede loro Gesù, ed essi replicano “Rabbi, dove abiti?”. E Gesù risponde: “Venite e vedrete”. Al giovane Natanaele che non crede che da Nazareth possa uscire qualcosa di buono, anche Filippo dice semplicemente: “vieni e vedi”. Sia Gesù che Filippo, dunque, fanno appello alla fiducia non al ragionamento, al cuore non alla mente. La fiducia precede il ragionamento. D’altronde, l’esperienza comune ci dice che l’incontro più bello e più profondo di due persone si verifica non quando esse condividono le idee, ma quando condividono la vita.
In realtà, c’è sempre qualcuno o qualche cosa che ci conduce ad incontrare Gesù. Nel racconto dell’evangelista S. Giovanni, è stato il Battista a condurre i due discepoli Andrea e Simone ad incontrare Gesù. E quello che ha fatto il Battista dovrebbe farlo chiunque svolge un ministero pastorale, perché, di fatto, nella vita spirituale, ogni credente giunge alla fede con l’aiuto di un altro. “All’origine dell’incontro con il Signore c’è sempre una parola che viene prima e che tocca il cuore, c’è sempre una persona che indica e accompagna verso di Lui. Non ci si converte da soli, ossia per sforzo autonomo o per iniziativa personale. La conversione, per sua natura, è sempre la risposta ad una chiamata; non è mai la prima parola. Tutta la tradizione biblica lo attesta. Abbiamo sempre bisogno di qualcuno che ci indichi Gesù, perché da soli non sapremo guardare a lui. La stessa cosa era avvenuta al giovane Samuele molti secoli prima, come abbiamo sentito poc’anzi nella seconda lettura. Samuele non avrebbe riconosciuto da solo la voce di Dio che lo chiamava. Ha avuto bisogno di un anziano. Per Andrea e Giovanni è stato il Battista che ha indicato loro il Signore”.
Nella domanda dei discepoli: “Rabbi, dove abiti”, di fatto, è indirettamente racchiuso il bisogno di trovare un maestro da seguire, nonché di avere una casa dove vivere. Oggi, in modo particolare, questo bisogno è molto sentito, perché la stagione culturale che viviamo ci porta spesso a sentirci sradicati, senza una comunità di appartenenza e senza un’esemplarità da imitare. C’è troppa assenza di “padri”, di “madri”, di” maestri”, di punti di riferimento, di modelli di vita. Soprattutto la generazione dei giovani soffre della triste mancanza di padri, madri, maestri. Però, da soli non ci si salva. Tutti abbiamo bisogno di aiuto: Samuele fu aiutato dal sacerdote Eli, Andrea dal Battista, Pietro da suo fratello Andrea. Anche noi abbiamo bisogno di un sacerdote, di un fratello, di una sorella, di qualcuno che ci aiuti e ci accompagni nel nostro cammino di fede e di umanità.
Nell’episodio raccontato dall’evangelista, i chiamati lasciano tutto e seguono Gesù senza chiedere spiegazioni o pretendere assicurazioni. L’evangelista, d’altra parte, non indugia a precisare se Gesù abbia spiegato i motivi della sua vocazione. In realtà, ciò che Gesù ha chiesto è una decisione di fiducia. Il suo non è un invito, è un imperativo, una chiamata con autorità divina come quella con cui Dio chiamava i profeti nell'Antico Testamento. Non i discepoli scelgono il maestro, come avveniva per i rabbini del tempo, ma il maestro sceglie i discepoli quali depositari non di una dottrina o di un insegnamento ma dell'eredità di Dio. La chiamata comporta l'abbandono dei familiari, della professione, un cambiamento totale dell'esistenza per una adesione di vita che non ammette spazi personali. La risposta dei discepoli senza spiegazioni ed assicurazioni, ossia senza una contropartita, è l’opposto del sistema dei rapporti che si hanno in una società mercantile. In questa, ogni azione e transazione è compiuta pensando ai relativi costi e ricavi. Molte volte, di fronte ad una azione generosa e gratuita, si sente ripetere: ma chi te lo fa fare? Oppure, dinanzi alla stessa azione gratuita, partendo dalla convinzione che nella vita niente si dà gratis, ci si interroga su quale sia il tornaconto e il prezzo di una determinata azione. Ma, il nostro rapporto con Dio non può essere ridotto a un rapporto di tipo commerciale, secondo il quale si presenta a Lui il conto delle opere buone compiute, per averne la ricompensa meritata.
La risposta alla chiamata da parte dei discepoli è stata quella di essere andati e di essere rimasti con Gesù: “andarono dunque e videro dove abitava e quel giorno si fermarono presso di lui”. Non basta, dunque, conoscere l’insegnamento di Gesù. Bisogna “restare” con Lui, condividere la sua vita, non solo accettare la sua dottrina. In una visita pastorale ad una parrocchia, un giorno, un bambino mi ha chiesto: “ è vero che tu sei amico di Gesù?” Nel rendermi conto che spesso il Signore afferma la sua potenza “con la bocca dei bimbi e dei lattanti”, gli risposi: “è vero: sono amico di Gesù”. Al vescovo e al sacerdote, quindi, si chiede di essere amici di Gesù. In effetti, i discepoli divennero amici di Gesù e la loro vita cambiò. Simone nell’incontro con Gesù divenne Pietro, ricevette una nuova identità e una nuova missione. Anche noi, incontrando il Signore riceviamo la vocazione di essere “pietre vive” e diventiamo preziosi, tanto che l’apostolo Paolo parla del nostro corpo come “tempio dello Spirito Santo”. Ovviamente, siamo tempio vivo di Dio non solo con il nostro corpo, ma con tutto il nostro essere: anima e corpo, mente e cuore. Questa verità fonda la nostra bellezza interiore e ci rende capaci di amare, perdonare, sperare.
Caro don Fabio,
i tuoi genitori, la comunità del Seminario, la parrocchia di Santa Maria ti hanno sicuramente condotto a Gesù, sono stati i mediatori che te l’hanno fatto incontrare. Tu hai posto in Lui la tua vita, hai affidato a Lui la tua persona. Oggi, questa tua persona viene consacrata per l’imposizione delle mani del tuo vescovo e diventi ministro di misericordia, di bontà, di salvezza eterna. Resta in Gesù e con Gesù. Solo così sarai sacerdote in eterno e porterai a Gesù tutti coloro che la Provvidenza affida al tuo ministero di grazia e di perdono.