Cattedrale di Oristano, 5 aprile 2015
Il racconto della passione, della morte e della risurrezione di Gesù, di cui abbiamo fatto memoria nel tempo di grazia della Quaresima, anche con il linguaggio dell’arte e la ricchezza delle nostre tradizioni religiose, è descritto da tutti i quattro evangelisti.
Ognuno di essi racconta la vita e l’insegnamento di Gesù a partire dalla propria sensibilità e dalla propria formazione, tenendo conto dei destinatari del Vangelo, che non sono mai gli stessi. Per il giubileo straordinario della misericordia, per esempio, papa Francesco ha proposto la lettura del vangelo di San Luca, perché l’evangelista, nato ad Antiochia e medico di professione, dà particolare risalto alle parabole della misericordia. Ora, come gli evangelisti scrivono in modo diverso e personale, così anche noi leggiamo il racconto della passione e della risurrezione in modo diverso e personale. Ognuno di noi, infatti, vive esperienze diverse di dolore e di gioia, di salute e di malattia; in alcune famiglie ci sono stati lutti, in altre momenti di festa. Come ci insegna la sapienza biblica, c’è stato tempo per ridere e tempo per piangere, tempo per nascere e tempo per morire (cfr. Qo 3, 2-8). D’altra parte, non può essere diversamente. Dio ci ha creato chiamandoci per nome, e, dietro ogni nome, c’è un volto concreto, una persona viva e non una fotocopia. Nonostante la diversità di esperienze individuali, però, ultimamente, sembra che il denominatore comune di tutte le persone, le famiglie, le istituzioni sia la crisi, anche se parlare di crisi genera ormai l’impressione d’una frase fatta, quasi d’uno slogan che non emoziona più.
Ma la crisi c’è e si sente. Crisi di valori prima ancora che di lavoro e di risorse economiche; ossia, crisi spirituale prima ancora che materiale. Una cosa, comunque, è certa. Per la crisi generalizzata del nostro territorio non ci sono più parole, né quelle consolatorie, né quelle accusatrici. Ci sono solo silenzi. Di questi, il più sopportabile e condivisibile è il silenzio degli amici di Giobbe, che, dinanzi alle sue sciagure, “sedettero acanto a lui in terra, per sette giorni e sette notti, e nessuno gli rivolse una parola, perché vedevano che molto grande era il suo dolore” (Gb 2, 13). Se dalla crisi delle nostre famiglie e del nostro territorio, poi, gettiamo lo sguardo fuori dei confini domestici, non possiamo dimenticare, accanto alle moltissime vittime dei conflitti civili, i tanti cristiani perseguitati nella Siria, nell’Iraq, nella Nigeria e in Kenya, nel Pakistan. Pensando alla loro morte, forse capiamo di più che cosa significhi essere uccisi, trucidati, cacciati in esilio, per il solo fatto di essere cristiani. Infatti, parliamo dei martiri sempre al passato, come di qualche evento che non ci tocca da vicino, come un capitolo lontano dei primi secoli della storia del cristianesimo. Oggi, però, non è più così. I martiri, ormai, sono nostri contemporanei, nostri vicini, forse nostri amici e conoscenti, a causa della rete che ha trasformato il mondo intero in un villaggio, e, perciò, dobbiamo intensificare la nostra preghiera perché cessi la persecuzione dei nostri fratelli nella fede.
Ora, sul buio di questa complessa vicenda di crisi, povera di parole e ricca di silenzi, vogliamo diffondere la luce della fede pasquale, trasmessaci dalla Parola di Dio. Il Vangelo di oggi fa memoria della risurrezione di Gesù descrivendo la corsa dei discepoli verso il sepolcro. I protagonisti sono due discepoli, uno anziano, S. Pietro, e uno giovane, S. Giovanni, e una donna, Maria di Magdala. I due discepoli non camminano ma corrono verso il sepolcro, con l’ansia di verificare la verità delle parole della donna. A ben vedere, è molto significativo che verso il sepolcro corrano per prime le persone che hanno un debito di gratitudine nei confronti di Gesù. Maria di Magdala, cui è stato perdonato il passato di peccatrice. Pietro, cui è stato perdonato il recente tradimento. Il perdono produce amore e gratitudine. I discepoli e la donna non corrono insieme, però. Ognuno ha la sua preoccupazione, i suoi sentimenti, le ragioni della propria gratitudine. Tuttavia, la meta comune è il traguardo d’un itinerario di fede, segnato dalle diverse tappe del “vedere”. Questo passa dalla semplice vista di una pietra ribaltata nel sepolcro, alla vista delle bende e del sudario ripiegato, a un vedere personale che sfocia nella fede, che sarà perfezionata dalla comprensione della Scrittura.
In ultima analisi, è la fede nella Parola del Signore che consente di iniziare e continuare a credere la risurrezione in mezzo agli innumerevoli segni di morte che attraversano la nostra vita e il nostro mondo.
Cari fratelli e sorelle,
dal punto di vista liturgico, la Pasqua è il culmine della celebrazione dei misteri della vita di Gesù. La sua risurrezione dai morti conferma e certifica la verità di tutto quello che Egli ha detto e ha fatto, l’adempimento della promessa della vittoria sul male fisico e morale. Se noi, però, ci limitiamo a fare memoria della Pasqua celebrandola senza la conversione delle nostre abitudini, senza un gesto concreto di carità verso i poveri, senza una concessione di perdono a chi ci ha offeso, finiamo per evocare semplicemente un evento del passato, che non cambia il presente e non crea futuro. Non possiamo continuare a camminare da egoisti solitari, lasciando dietro di noi chi è stanco, chi è vecchio, chi è malato. Il Sinodo Diocesano ci ricorda che siamo una comunità, in cui ognuno deve camminare non per dimostrare che è più bravo e più veloce, ma per ritrovare la bellezza di lavorare insieme, pregare insieme, sperare insieme. Solo così la nostra Pasqua sarà diversa, costruisce orizzonti di infinito, crea fiducia condivisa. Colgo l’occasione per annunciare che in coincidenza con il giubileo straordinario della misericordia dedicherò l’anno prossimo alla missione diocesana e metterò tutta la Diocesi in stato di missione. Con il Sinodo, che, spero possa concludere i lavori nel mese di ottobre, abbiamo riflettuto e pregato per dare alle nostre parrocchie un nuovo slancio missionario e una più efficace organizzazione pastorale. Nel lavorare per il rinnovo della parrocchia abbiamo voluto dare dinamismo spirituale alla vita e alle attività della nostra Chiesa arborense. Mettendoci in stato di missione, vogliamo testimoniare la vita buona del Vangelo, vincere la rassegnazione e combattere l’indifferenza, dare ragioni di speranza e di misericordia a chi cerca, soffre, ama. La Vergine Madre di Gesù, che veneriamo nei nostri santuari del Rimedio e di Bonacatu, benedica tutti noi e ci doni la gioia del Cristo Risorto.