Giornata della vita consacrata

Cattedrale di Oristano, 2 febbraio 2009

Nel periodo natalizio abbiamo potuto meditare sulla presentazione del bambino Gesù al tempio e sulla figura di Maria come donna di obbedienza e di ascolto: obbedienza alla legge civile e mosaica, ascolto della Parola di Dio e delle parole degli uomini.

Oggi siamo invitati a meditare sullo stesso episodio della vita di Gesù, ma nel contesto diverso della celebrazione della giornata mondiale della vita consacrata. L’attenzione della Chiesa e della comunità diocesana alle persone consacrate non è un gesto di cortesia ecclesiale ma un doveroso riconoscimento del fatto che il mondo si salva con le ginocchia di chi prega prima ancora che con la mente di chi pensa. Sono le ginocchia delle persone consacrate che rendono fecondi il lavoro della mente e l’opera delle mani. Come le mani alzate di Mosè permisero ad Israele di sconfiggere il nemico Amalek (Es 17, 8-13), così anche oggi le braccia alzate della preghiera sconfiggono le forze del male.

Qual è, ora, il campo di azione in cui vivono i cristiani e per il quale si alzano le mani della preghiera di intercessione nelle diverse parti del mondo? A ben guardare, il contesto nel quale viviamo e nel quale le persone consacrate sono chiamate a testimoniare i valori dello spirito è un mondo in cui le domande prevalgono sulle risposte; i desideri prevalgono sui bisogni; l’individualismo prevale sulla solidarietà. Sia questa trasformazione dei valori, sia la ricerca di senso, così come la riscoperta dello spirito e la stessa campagna pubblicitaria degli atei e dei razionalisti anarchici ci interpellano sul perché la visione cristiana dell'uomo, della famiglia, della libertà, sia rimasta nelle omelie della messa, nel segreto del confessionale e non sia servita a creare modelli culturali di comportamento, a incidere nella costruzione della società, a realizzare ideali di solidarietà e di reciprocità.

Evidentemente qualcosa non ha funzionato o non funziona ancora nella comunicazione della verità e nella testimonianza della carità. Forse invece di ponti di amicizia e di simpatia si sono costruiti sistemi e si sono elaborate ideologie di contrapposizione e di alternativa. Si è usato Dio contro l'uomo. Si è trovato più facile scomunicare che comunicare e la Chiesa si è trovata ricca di dottrina umanitaria e povera di uomini, isolata nel suo culto e nei suoi riti, poco seguita nei suoi interventi e nelle sue decisioni.

L’icona della liturgia odierna, ossia il vecchio Simeone che tiene tra le braccia il bambino Gesù suggerisce a tutti i cristiani, in genere, e alle persone consacrate, in modo particolare, qualche valido atteggiamento per comunicare meglio le verità della fede e testimoniare più incisivamente la novità del vangelo. Essa, infatti, rappresenta molto bene l’incontro dell’uomo con Dio e di Dio con l’uomo, cioè l’incontro della domanda di salvezza da parte dell’uomo e della risposta della grazia da parte di Dio. Bisogna prendere coscienza, però, anzitutto, che il dinamismo di questo incontro è cambiato. In una società sacrale, permeata di religiosità diffusa, ancorata a credenze soprannaturali, l'interlocutore era Dio: a Dio si domandava spiegazione del bene e del male, della vita e della morte, della salute e della malattia, della ricchezza e della povertà. In una società secolarizzata come la nostra, invece, dominata dalla tecnologia e dalla scienza, il primo referente è l'uomo stesso, con le sue capacità razionali e tecniche, con le sue risorse culturali, con la sua storia. Da una prospettiva in cui si addossava tutto il peso della vita e della storia a Dio, si è passati ad una prospettiva in cui si addossa tutto il peso all'uomo ed alla sua capacità. Il risultato è che mentre ieri si finiva per banalizzare la trascendenza, oggi si rischia di sopravvalutare l'immanenza, e chi ci perde è sempre l'uomo.

È possibile, ora, rivitalizzare il dinamismo di questo incontro ed aiutare gli uomini e le donne del nostro tempo a seminare germi di bene e di speranza in una stagione di crisi economica, di spaesamento culturale, di incertezza del futuro, di paura del cambiamento? Quale supplemento di anima può dare oggi la testimonianza di persone consacrate che con la loro dedizione, la loro pazienza, il loro altruismo piegano il cielo sulle vicende quotidiane della vita? Un primo frutto di questa rinnovata testimonianza potrebbe essere l’invito alla conversione dalla civiltà dello spreco a quella della sobrietà. Nella civiltà dello spreco ci sono i costi delle celebrazioni e dei regali. Si pensi, per esempio, a quello che si spende per battesimi, prime comunioni, cresime, matrimoni. La maggior parte di queste celebrazioni hanno perso il valore spirituale ed umano ed hanno acquistato il significato e il peso di un’impresa economica. Una famiglia, invece di gioire per la celebrazione di un sacramento, si preoccupa di quanto deve spendere per il regalo, il vestito, il ristorante. Il regalo a parenti ed amici non è più un dono ma un obbligo sociale, sottoposto a rigidi controlli e confronti. Spesso, il primo pensiero che si fa quando si riceve un regalo non è quello della gratitudine, ma quello della giustizia sociale. Ci si preoccupa di come si debba ricambiare il regalo, in base alla giusta considerazione della parentela e dell’amicizia.

Un altro frutto concreto sarebbe la capacità di fare indirizzare in modo diverso il mondo dei regali. La crisi può orientare la scelta dei regali in funzione del lavoro che si svolge e della vita che si conduce. Se un ragazzo è studente dovrebbe ricevere regali che lo aiutano ad essere uno studente diligente e disciplinato. I ragazzi, invece, ricevono cellulari dotati di una moltitudine di applicazioni, con i quali essi possono comunicare con tutto il mondo, senza aver niente da dire. In molte famiglie, poi, ricevono dei premi i ragazzi che sono promossi agli esami. Addirittura, non è raro il caso in cui questi regali siano pattuiti in anticipo. Sembra che essere promosso non sia più un dovere ma sia diventato un’opportunità.

Un ulteriore frutto della testimonianza della vita consacrata potrebbe essere l’aiuto a riscoprire il limite. L'esperienza del limite è forse molto più forte oggi che in altri tempi. I continui progressi nei diversi campi della tecnica e soprattutto in quello della medicina e della genetica rendono più acuta la percezione della necessità di superarlo. Essi, infatti, fanno intravvedere grandi possibilità di sempre nuove conquiste ed alimentano sogni di un sempre più sicuro e perfetto futuro dell'umanità. Queste prospettive, indirettamente, alimentano i conflitti esistenziali di cui è intessuta la vita di ognuno, nutrita com'è di desideri e di paure, di aspirazioni e di delusioni. Si ha il desiderio di volare e la paura di cadere, il desiderio di vivere e la paura di morire, il desiderio di amare e di essere amati e la paura di tradire e di essere traditi. L'avanzamento della tecnica non ha diminuito, bensì acuito le incertezze, non ha eliminato, ma moltiplicato le ragioni dell'angoscia esistenziale.

Ora, proprio questa esperienza del limite, che produce incertezza e angoscia, sfida l'antropologia cristiana a trovare delle coordinate concettuali per vivere il limite in modo umano, sia quando lo si considera valicabile che quando lo si considera invalicabile. In effetti, esistono limiti che sono invalicabili, perché la loro conservazione protegge e garantisce l'umanità dell'uomo, e limiti valicabili, perché il loro superamento contribuisce a promuovere la medesima umanità di ogni uomo. L'antropologia cristiana è, comunque, chiamata a fornire motivazioni ed orientamenti sia per rispettare i primi che per superare i secondi.

Cari fratelli e sorelle, voi, con la vostra preghiera, la vostra carità, il vostro carisma, siete chiamati ad essere testimoni dell’oltre e sentinelle di speranza. Vi invito, perciò, a reagire con sapienza e coraggio al destino di isolamento e di emarginazione cui vi costringe il mondo di oggi. In comunione con i miei confratelli nell’episcopato, vi esorto a rinnovare la vostra offerta totale al Signore nel generoso servizio ai poveri, secondo il carisma dell’istituto di appartenenza. “Le comunità monastiche e religiose sono chiamate ad essere oasi nelle quali si vive il primato assoluto di Dio, della sua gloria e del suo amore, nella gioia della comunione fraterna e nella dedizione appassionata ai poveri, agli ultimi, ai sofferenti nel corpo e nello spirito”. La Vergine dell’obbedienza e dell’ascolto protegga la vostra consacrazione.