Giornata della vita consacrata

Cattedrale di Oristano, 2 febbraio 2011

Due sono le coincidenze che danno particolare significato alla celebrazione della giornata della vita consacrata di quest’anno: l’anno eucaristico mariano con il programma di passare da un’eucaristia celebrata ad una eucaristia vissuta, e la pubblicazione del documento dei vescovi italiani sull’educazione alla vita buona del vangelo.

La celebrazione dell’anno eucaristico mariano è un impegno di tutta la comunità diocesana, ma richiede in modo particolare la collaborazione delle persone consacrate per “un’offensiva” pacifica di preghiera. Il dove della preghiera è la vita quotidiana, che trasforma in altare le classi della scuola, le stanze degli ospedali, i corridoi silenziosi dei monasteri di clausura. L’impegno, poi, per tradurre in pratica gli orientamenti pastorali dei vescovi italiani sull’educazione alla vita buona del vangelo vede coinvolte le consacrate in prima persona, perché ogni comunità religiosa ha la missione di operare come una comunità educante. Questa missione richiede un’attività educatrice ad intra per mezzo dell’edificarsi vicendevolmente nel percorso di spiritualità e di fede, ed un’attività educatrice ad extra, per mezzo della testimonianza della comunione profonda con Dio, base e fondamento della comunione profonda con gli uomini.

Una modalità concreta di questa testimonianza ce l’offre il passo della Lettera agli Ebrei che è stato proclamato nella liturgia della Parola. Esso ci presenta Gesù come colui che è solidale con gli uomini nel momento della prova. In effetti, Gesù è stato messo alla prova ed ha sofferto personalmente. Ha sperimentato la condizione che Giobbe riconosce propria di tutti gli uomini, e, cioè, quella secondo cui la vita dell’uomo su questa terra è una prova, un combattimento. Proprio per questa realtà, secondo Bonhoeffer, solo un Dio che soffre può aiutare l’uomo. Il Dio cristiano non è il Dio impassibile della metafisica, ma il Dio amore. E il Dio amore si rivela soprattutto nei testimoni che soffrono con Lui e per Lui. Non per nulla, la sofferenza di Giovanni Paolo II è stata la sua enciclica più eloquente ed universale. In verità, Gesù non ha fatto finta di soffrire, di morire, di sudare sangue, di piangere davanti al sepolcro di Lazzaro. Egli, come sommo sacerdote, ha sofferto veramente e profondamente per il giudizio ingiusto degli uomini che lo hanno condannato a morte, e per l’abbandono tragico dei suoi discepoli che l’hanno lasciato solo nell’ora della prova. Il Figlio dell’Uomo, che “non si prende cura degli angeli ma della stirpe di Abramo”, non è venuto a salvare i giusti bensì i peccatori.

Se, allora, noi vogliamo imitare Gesù dobbiamo assicurare la solidarietà a chi soffre e a chi sbaglia, e nessuno può equivocare la nostra solidarietà cristiana con altri intenti di nessun genere. La solidarietà cristiana non può essere negata a chi ha bisogno della nostra vicinanza, del nostro affetto, della nostra comprensione. Naturalmente, non vogliamo e non possiamo sostituirci né al giudizio degli uomini né tanto meno al giudizio di Dio, che, solo, scruta il segreto delle coscienze ed è più grande del cuore dell’uomo. Tuttavia, non possiamo non ricordare che, secondo S. Paolo, Dio ci ha amato e salvato, quando eravamo “figli dell’ira”, ossia quando eravamo ancora nella condizione di peccato. In ultima analisi, Dio non ci ama perché siamo buoni ma ci rende buoni perché ci ama. Il sacerdote, chiamato e consacrato ad essere un alter Christus, se non vuole tradire la sua missione di ministro della misericordia divina, non può non imitare la solidarietà di Gesù nei confronti del proprio fratello debole, “per il quale Cristo è morto”.

Un’altra modalità profonda di comunione con Dio e gli uomini ce la indica l’episodio del vangelo con la commovente figura del vecchio Simeone che tiene in braccio il bambino Gesù, e dona alla spiritualità della Chiesa la bellissima preghiera del Nunc dimittis. Noi ripetiamo questa preghiera tutte le sere a conclusione di una giornata, quando affidiamo al cuore di Dio le nostre sofferenze, i nostri successi, la nostra solitudine, il rimorso delle nostre colpe e la gratitudine per le nostre buone azioni. Il vecchio tiene il bambino e il bambino regge il vecchio, in una profonda integrazione di storia ed eternità, umanità e divinità, passato e futuro. L’icona di un Dio bambino che sostiene un vecchio simboleggia la presenza umile e nascosta di Gesù nella storia. Ho scritto nella lettera pastorale che “non sappiamo perché Gesù abbia scelto come forma di presenza il nascondimento sotto le specie del pane e del vino. È possibile ritenere che Dio, in Gesù, abbia scelto questa forma di essere presente nel mondo per non volere indebolire la responsabilità dell’uomo. Attraverso la contrazione divina, secondo la visione della mistica ebraica, Dio si è come ristretto per fare spazio all’uomo; ha limitato la sua potenza per favorire la libertà dell’uomo. Detto diversamente: Dio si è fatto uomo perché l’uomo in qualche modo si facesse Dio.”

Per quanto riguarda l’impegno a tradurre in pratica gli orientamenti pastorali sull’educazione alla vita buona del Vangelo, i Vescovi italiani, nel loro messaggio per la giornata della vita consacrata, ribadiscono anzitutto che a questo compito urgente e affascinante sono chiamate tutte le componenti ecclesiali. Ma, allo stesso tempo, sottolineano che “un ruolo educativo particolare è riservato nella Chiesa alla vita consacrata”. Essi ribadiscono che “prima ancora delle numerose opere promosse nell’ambito educativo dagli istituti di vita consacrata, è necessario aver presente che la stessa sequela di Cristo, casto, povero e obbediente, costituisce di per sé una testimonianza della capacità del Vangelo di umanizzare la vita attraverso un percorso di conformazione a Cristo e ai suoi sentimenti verso il Padre. Inoltre, la natura stessa della vita consacrata ci ricorda che il metodo fondamentale dell’educazione è caratterizzato dall’incontro con Cristo e dalla sua sequela. Non ci si educa alla vita buona del Vangelo in astratto, ma coinvolgendosi con Cristo, lasciandosi attrarre dalla sua persona, seguendo la sua dolce presenza attraverso l’ascolto orante della Sacra Scrittura, la celebrazione dei sacramenti e la vita fraterna nella comunità ecclesiale. È proprio la vita fraterna, tratto caratterizzante la consacrazione, a mostrarci l’antidoto a quell’individualismo che affligge la società e che costituisce spesso la resistenza più forte a ogni proposta educativa. La vita consacrata ci ricorda così che ci si forma alla vita buona del Vangelo solo per la via della comunione”.

“Anche i consigli evangelici, vissuti da Gesù e proposti ai suoi discepoli, possiedono un profondo valore educativo per tutto il popolo di Dio e per la stessa società civile. Come ha affermato Giovanni Paolo II, che presto venereremo sugli altari, essi rappresentano una sfida profetica e sono una vera e propria “terapia spirituale” per il nostro tempo. L’uomo, che ha un bisogno insopprimibile di essere amato e di amare, trova nella testimonianza gioiosa della castità un riferimento sicuro per imparare a ordinare gli affetti alla verità dell’amore, liberandosi dall’idolatria dell’istinto; nella povertà evangelica, egli si educa a riconoscere in Dio la nostra vera ricchezza, che ci libera dal materialismo avido di possesso e ci fa imparare la solidarietà con chi è nel bisogno; nell’obbedienza, la libertà viene educata a riconoscere che il proprio autentico sviluppo sta solo nell’uscire da se stessi, nella ricerca costante della verità e della volontà di Dio, che è “una volontà amica, benevola, che vuole la nostra realizzazione”.

Cari fratelli e sorelle,

Gesù è presentato dal vecchio Simeone come “segno di contraddizione perché siano svelati i pensieri di molti cuori.” Può darsi che ancora oggi Gesù sia segno di contraddizione per quanti rifiutano il suo messaggio e per quanti tradiscono questo stesso messaggio. Mi auguro che la vostra vita di preghiera, e la vostra testimonianza di spiritualità e interiorità parli sempre di Dio, della sua bontà e della sua misericordia. Se, infatti, parlate solo delle vostre idee, dei vostri progetti, delle vostre iniziative, toccate, forse, la mente delle persone. Se, invece, parlate di Dio e lo testimoniate con le vostre azioni, toccate, certamente, i loro cuori. Possano, allora, le vostre parole di vita e le vostre azioni di pace toccare i cuori di chi spera e di chi teme, di chi soffre e di chi ama, di chi nasce e di chi muore.